di SERGIO MORA <>
La Chiesa in esilio
La morte di Alessandro Manzoni nel 1873 rappresentò un motivo di riflessione e di convergenze fra l’aspetto laico e quello religioso che, dopo l’esilio della Chiesa fra le mura vaticane, dopo Porta Pia, divenne un vero e proprio tabù.
Non doveva quindi esservi più alcuna collaborazione fra le fede Cattolica e il nuovo Regno d’Italia, creato dai massoni e quindi dichiaratamente al di fuori d’ogni recinto religioso.
Il pensiero, venato di misticismo, di Giuseppe Mazzini dovette soccombere alla volontà positivistica di Cavour.
Un atto di riflessione sulla Storia
Giuseppe Verdi si era avvicinato a Manzoni già dal 1868, quando, complice la contessa Maffei, avvenne quell’unico incontro in via Morone, in casa dello scrittore.
Sempre in quel 1868, la morte a Parigi di Rossini, aveva indotto Verdi a incentivare la scrittura di un opera collettiva in cui alcuni musicisti italiani coevi davano il loro contributo con la stesura di una parte della messa da requiem.
In quella circostanza Verdi aveva scritto l’incunabolo del proprio Requiem con il “libera me domine”.
L’idea di un grande affresco sinfonico strumentale d’impianto civile e spirituale si stava radicando all’interno della mente di Verdi. Per lui la religione era parte del complessivo travaglio umano della Storia e del destino dell’intera umanità.
Il suo Requiem stava prendendo forma come atto di riflessione dei grandi momenti di partecipazione civile che avevano mobilitato l’Italia nelle guerre d’indipendenza. Questo Requiem doveva essere l’omaggio dovuto ai travagli, ancora irrisolti, di un paese in via di formazione come coscienza nazionale.
Il Requiem della discordia
La morte di Manzoni aveva aperto una falla all’interno della comunicazione fra società civile e Chiesa.
La proposta avviata dallo stesso Verdi e dall’amico Boito di commemorare la scomparsa dello scrittore, ad un anno dalla morte, con l’esecuzione di un Requiem fu accolta positivamente dal Comune ma venne rifiutata dalle autorità ecclesiastiche. Nessuna parrocchia di Milano era disposta ad ospitare l’evento. L’immagine di Manzoni non era ancora assunta a simbolo cristiano. Nel suo romanzo vi erano molte annotazioni critiche nei riguardi della Chiesa che non piacevano alle autorità religiose.
Il clero dissidente
L’autore di questo grande evento è stato un oscuro sacerdote milanese, don Michele Mongeri, parroco di San Marco. Si tratta di una figura di sacerdote illuminato che aveva prestato la propria opera attiva sulle barricate milanesi durante quel fatidico 1848 che avrebbe cambiato le sorti del nostro paese. L’opera svolta a favore delle persone coinvolte nei moti di liberazione, avversati dalla Curia, fecero di questo sconosciuto religioso un militante dell’impegno civile all’interno dell’organizzazione religiosa. Don Mongeri riuscì nel suo intento di far comprendere alla Chiesa l’importanza di assistere i civili nel corso di una lotta che aveva come scopo una più equa visione della vita comune. Un primo, timido passo, fra la visione umana, civile e spirituale fra lo Stato e il mondo religioso era stato compiuto.
Nel primo mattino
La prima esecuzione del Requiem di Verdi avvenne il 22 maggio 1874 verso le 11 ante meridiane. L’esecuzione dell’opera verdiana era interpolata dal normale ufficio liturgico per i defunti in forma abbreviata. Il celebrante era lo stesso Monsignor Mongeri.
Un primo passo di avvicinamento fra la cultura civile e quella spirituale era stato compiuto.
Il genio di Verdi riunì gli estremi di una disputa che rischiava di non aver fine. Un recente studio critico di Matteo Marni, “La vera storia del Requiem di Verdi”, edito da Casagrande editore, fa luce su alcuni aspetti non sufficientemente noti di questa interessante diatriba fra Storia e religione.
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