Cronologia essenziale del Liberalismo (Cap. 9 I liberali in vari paesi a fine ‘800)

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di RAFFAELLO MORELLI <>

3.11 I liberali in vari paesi a fine ‘800.

3.11 a) I governi Gladstone.  
In Inghilterra, dopo i libri di Stuart Mill (che ho trattato al paragrafo 3.8 c) e l’opera di Darwin, nonché le considerazioni sull’evoluzionismo e sui rapporti con il liberalismo (trattati al paragrafo 3.8 d), spicca l’azione, iniziata a dicembre 1868, dei quattro governi di William Gladstone nell’arco di 25 anni, che produssero una robusta impostazione liberale.
L’allora sessantenne Gladstone, era entrato ai Comuni trenta anni prima, tra i conservatori di Peel in un ruolo minore nel governo. A quell’epoca sosteneva posizioni protezioniste, a favore dell’anglicanesimo e contro il separatismo, ma pochi anni dopo, messo ai vertici della Camera di Commercio, iniziò a convertirsi al libero scambio e un po’ alla volta divenne fautore del ruolo equilibratore dell’istituzione statale. Trascorse l’inverno ’49-’50 a Napoli e tornato in patria pubblicò con clamore due lettere al Primo Ministro in cui denunciò il sistema carcerario borbonico. E, sempre in base all’esperienza italiana, pochi mesi dopo, espresse il parere che il potere temporale del Papa era condannato a finire. All’inizio del 1853, Gladstone divenne Cancelliere dello Scacchiere nel governo di coalizione di Lord Aberdeen (tra parte dei conservatori, i liberali, i seguaci del defunto Peel e un gruppo di tendenza radicale). Nel nuovo incarico Gladstone ridusse l’imposta sul reddito ed estese agli immobili la tassa di successione.
Negli anni seguenti, mutati i rapporti parlamentari, Gladstone rifiutò di entrare nel nuovo governo dei Conservatori e si avvicinò sempre più ai liberali, divenendo ancora Cancelliere dello Scacchiere con il governo liberale di Palmerston nel 1859. In questo incarico strinse un trattato di libero scambio con la Francia, abolì i dazi su quasi 400 articoli e rivide ancora l’imposta dul reddito. Nel 1865 Gladstone divenne leader dei parlamentari liberali e riuscì a fare allargare la legge sul suffragio.  L’anno dopo divenne capo del partito liberale. Nel 1868 vinse largamente le politiche e divenne Primo Ministro.
Nel nuovo ruolo, Gladstone affrontò prima di tutto il problema dell’Irlanda cattolica, riuscendo a far approvare una legge di separazione stato chiese, e l’anno dopo una legge agraria a garanzia dei fittavoli fornendo loro crediti per acquistare dei terreni. Su un piano più generale, completò le riforme elettorali sancendo il voto segreto, apportò importanti mutamenti nell’amministrazione civile (rendendo aperto a tutti l’ingresso mediante concorso) e nell’istruzione elementare (instaurando un sistema tuttora esistente nei suoi aspetti di fondo), stabilì che lauree ed incarichi universitari prescindessero dalla religione e in Irlanda abolì i test religiosi per entrare all’università.
Nel 1874 i conservatori vinsero le elezioni, Gladstone lasciò la guida dei liberali ma continuò un’intensa attività parlamentare d’opposizione, segnatamente in politica estera contrastando la linea conservatrice favorevole all’Impero Ottomano e ai rapporti egemonici inglesi in India.  In vista del turno elettorale successivo, Gladstone si impegnò iniziando dalla Scozia e attaccò il governo per la politica di annessione nella Repubblica del Transvaal. Così riportò nel 1880 un’importante vittoria nelle urne e formò il suo secondo governo. Nei mesi successivi, pose fine alla sollevazione nel Transvaal concedendo l’autogoverno ai predominanti boeri (coloni sudafricani di origine olandese). Intanto proseguì le riforme agrarie per agevolare l’acquisto dei terreni in Irlanda, spingendosi a non contrastare ai Comuni la richiesta irlandese dell’autonomia interna (“home rule”) e introducendo   norme speciali sugli affitti agrari. Negli anni successivi l’Inghilterra si impegnò molto nel Nord Africa, in conseguenza dell’apertura del Canale di Suez che riduceva di settimane il percorso dal Mediterraneo all’India (inaugurato a fine 1869 dopo un decennio di lavori della Compagnia del Canale, i cui azionisti erano l’Egitto per il 44% e la Francia per il resto soprattutto tramite un diffuso azionariato popolare).  
A metà degli anni ’70, l’Egitto, all’epoca appartenente all’Impero Ottomano, non riuscendo nell’espansione verso l’Etiopia, si trovò costretto a cedere la propria quota della Compagnia del Canale all’Inghilterra (nel ’75). Così ben presto l’Egitto divenne una sorta di protettorato franco inglese, anche per l’estrema debolezza degli Ottomani. Ciò provocò crescenti agitazioni tra contrapposte fazioni interne, finché, nel febbraio 1882, una di queste si risentì per l’influenza straniera asserragliandosi nei forti di Alessandria. Per evitare di perdere il controllo di Suez, il governo Gladstone e i Comuni, insieme alla Francia, inviarono là una loro flotta, subito seguita da un corpo di spedizione, per riportare l’ordine (e proteggere materialmente i luoghi del Canale). L’afflusso degli europei, tuttavia, esasperò l’opinione pubblica egiziana e nell’estate, per diverse settimane, vi furono scontri armati, fino ad una vera e propria battaglia con una delle due fazioni, presto vinta dagli inglesi.
Il governatore ottomano dell’Egitto riacquistò il potere interno, però supervisionato dai britannici (precisamente il Console Generale e il Comandante Capo dell’esercito egiziano aiutato da un gruppo di alti ufficiali inglesi). Così ebbe inizio il dominio britannico sull’Egitto, che durerà un trentennio. Da sottolineare che, secondo la linea di Gladstone, la gestione del traffico attraverso il Canale di Suez venne stabilita all’insegna della libertà di passaggio nelle sue acque in ogni circostanza, solo vietando operazioni di guerra nel suo territorio e dintorni, ma consentendone l’uso anche alle diverse nazioni belligeranti (in pratica facendo del Canale di Suez un esempio di vita non dipendente dal potere). 
Intanto, a sud dell’Egitto, nel Sudan, andava sviluppandosi una robusta avanzata dei fautori del rinnovamento islamico, che volevano pure il ritorno istituzionale al Corano e il liberare il Sudan dagli ottomani. Nell’estate 1882 l’esercito dei redentori dell’Islam riportò una vittoria di rilievo, cui seguirono altri successi nei due anni seguenti. Trattandosi di una guerra di tipo religioso, il governo inglese propendeva per la cautela e scelse di evacuare le truppe anglo egiziane.  La manovra non riuscì e d’altra parte il Governo non usava del tutto il pugno duro. Intanto, a livello interno in Inghilterra, Gladstone estese il diritto di voto ai lavoratori agricoli maschi. Peraltro, il rovescio subito in Sudan dall’esercito inglese indebolì molto Gladstone in casa.  Questo stato di cose gli fece perdere a giugno 1885 l’appoggio sul bilancio di oltre metà dei deputati irlandesi e così Primo Ministro passò ai conservatori.
Comunque, alle elezioni generali del novembre successivo, dopo una campagna che Gladstone imperniò sull’autonomia dell’Irlanda, i liberali ottennero più voti e più seggi, ma non la maggioranza assoluta da soli. Gladstone formò il suo terzo governo all’inizio del 1886 e ad aprile presentò un progetto di Home Rule e un altro che stabiliva l’acquisto dei latifondi in Irlanda da ripartire tra gli agricoltori che fossero affittuari. Un programma di questo tipo fece esplodere il gruppo parlamentare dei liberali. Se ne staccò un gruppo di fautori dell’unione dell’Irlanda all’isola inglese e così il voto favorevole al programma del gruppo irlandese non bastò per approvarlo. Di conseguenza a luglio 1886 si tornò al voto con uno schieramento innovativo. I liberali unionisti si allearono con i conservatori. Numericamente il partito liberale di Gladstone prevalse di nuovo con il 46% dei voti, ma nella distribuzione di collegio l’alleanza conservatori unionisti arrivò al 51% (di cui il 14% di unionisti) trasformato nel 59% dei seggi dal sistema elettorale. Stabile il Partito Irlandese.
Il Governo tornò ai conservatori con il supporto dei liberali unionisti, ma Gladstone e il Partito Liberale si opposero alle misure repressive del Governo e proseguirono nella campagna a sostegno del Home Rule. Furono sei anni di apertissimo scontro politico, con un odio tra le due fazioni assai marcato. Alle successive elezioni (1892), i liberali unionisti più che dimezzarono e la coalizione con i conservatori perse nel complesso quasi cinque punti e soprattutto nella distribuzione degli eletti nei collegi arretrò di quasi tredici punti fra gli eletti. I liberali, con l’apporto dei deputati irlandesi, avevano una maggioranza di una quarantina di seggi. Fatto il suo quarto governo, Gladstone avanzò una nuova norma per l’Home Rule, rafforzata con il dare ai deputati irlandesi il diritto di votare ai Comuni sulle questioni non puramente britanniche. Si ripetè tuttavia quanto era avvenuto prima. Cioè la norma venne approvata alla Camera Bassa e bocciata da quella dei Lord. Ormai ottantacinquenne, Gladstone lasciò il governo e un anno dopo anche il Parlamento.
La vicenda di Gladstone è particolarmente significativa per più motivi. Prima di tutto per la spiccata qualità del personaggio, capace di grande tenacia nell’individuare le strade atte a superare gli ostacoli che si frapponevano al realizzare norme di libertà civile. Poi per le notevolissime capacità nel campo finanziario, che lo hanno reso quasi senza rivali tra gli uomini di stato inglesi: attentissimo all’esigere il corretto funzionamento dell’amministrazione ed inoltre in grado di coinvolgere i cittadini in tali problematiche. Infine assai legato all’osservare i fatti concreti e al trarne insegnamento, anche a costo di mutare un suo parere antecedente, quindi naturalmente in contrasto con l’impostazione tipo clima imperiale, all’epoca di gran moda ed ossessionata nel conservare immutata la tradizione. Con simili qualità, Gladstone fu incline ad uno sguardo lungo per affrontare i nodi dell’esercizio della libertà. Ad esempio, all’idea della Home Rule si convertì alla svelta, non appena ebbe studiato il problema nei suoi dati reali. Così riuscì ad inquadrare il tema dell’Irlanda già decenni prima che iniziasse progressivamente ad essere riconosciuto. In logica analoga fu sempre incline nei conflitti internazionali a trovare una soluzione al di fuori delle armi, che erano un ostacolo naturale al diffondersi della pratica della libertà.
Va infine sottolineato che il voto inglese del 1886 e del 1892, fu l’apogeo del successo del Partito Liberale nelle urne e l’inizio del suo declino senza freni. Riflettere sulla svolta fornisce lo spunto per cogliere il meccanismo delle cose.  Allora l’immediato fattore scatenante fu l’indirizzo a favore dell’autonomia dell’Irlanda. Sul punto si scontarono due atteggiamenti con i quali il liberalismo è alle prese in ogni momento. Vale a dire la propensione a valorizzare l’esprimersi della libertà in ogni convivenza (nella fattispecie il favore all’Home Rule) e il legare le decisioni dell’insieme dei conviventi alle libere scelte degli individui che lo formano (il votare al riguardo). Quando il voto non premia l’indirizzo liberale, cresce contestualmente la necessità dell’impegno politico dei liberali per aumentare il diffondersi delle norme per valorizzare la libertà   dei conviventi nell’esercizio del senso critico. E ciò richiede un’insistenza coerente e il dar tempo per la maturazione tramite ulteriori osservazioni.
Va aggiunto poi che nella fattispecie la frattura tra i liberali fu causata del separarsi   tra i fautori della libertà prima di ogni altra cosa e chi metteva la libertà dopo la tradizione e il privilegio al ruolo della nazione originaria. Insomma, tra i liberali comunque e chi è sensibile al liberalismo solo in seconda battuta, riconoscendo molta importanza alle istanze della conservazione. Siffatta frattura non si sanerà da allora. Soprattutto perché la ricerca della libertà richiedeva ormai strade più complicate, meno agevolmente apprezzabili tra i cittadini. E perché stavano arrivando sulla scena idee politiche non liberali, che però illudevano di arrivare alla liberazione intesa non nei termini provvisori ed individuali della libertà, bensì nei termini ideologici definitivi di un eterno paradiso raggiungibile solo accettando la verità di qualcosa e rinunciando allo spirito critico dello sperimentare la concretezza della realtà. Si pensi in particolare al laburismo che andava assumendo il ruolo di movimento progressista svolto fino ad allora   dal liberalismo.

3.11 b) I liberali in Italia a fine ‘800
Soprattutto in Germania e in Italia, ma anche in Francia, la presa elettorale del liberalismo declinò quando, ormai realizzata l’unificazione nazionale, divenne centrale la questione del come rafforzare la struttura dello stato. In Italia non va dimenticato che la Chiesa vietava ai cattolici la possibilità di partecipare alla vita pubblica, il che frenava il formarsi di un ceto imprenditoriale e giustificava l’inerte cautela dei dirigenti provenienti dagli antichi stati.
Va aggiunto che, soprattutto nel meridione, il diffondersi di una mentalità liberale era ostacolato dalla propensione centralistica della struttura amministrativa d’origine piemontese e dal venire a galla del fenomeno del brigantaggio già preesistente da lungo tempo, rivolto contro il malgoverno e contro le oppressioni fiscali e burocratiche.  In ogni settore si procedette all’unificazione dei codici, delle prassi, dell’istruzione, delle forze armate (includenti i volontari garibaldini), dei debiti pubblici degli stati preunitari, della normativa fiscale.  La politica della Destra Storica, al governo fino al 1876, era di tipo liberale moderato (Primi Ministri come Ricasoli, Farini, Minghetti, Lanza), fondata sul libero scambio, sul togliere le dogane, sull’ inserire l’economia italiana, nel sistema europeo. Furono necessarie molte infrastrutture, fatte con le risorse raccolte con la vendita dei beni ecclesiastici, con la pressione fiscale e con l’indebitamento pubblico. Tuttavia una pratica finanziaria molto rigorosa portò a metà anni ’70 al pareggio di bilancio, considerato la premessa indispensabile per uno sviluppo moderno.
Nel 1876 prevalsero i contrari al dirigismo centralistico del governo e all’eccessiva presenza statale in economia. Si formarono per un quindicennio – sempre in un clima abbastanza liberale, reso possibile dal fatto che all’epoca non c’erano i partiti ma convergenze di culture affini – governi della Sinistra Storica, sostenuti da maggioranze variabili (il trasformismo teorizzato da Depretis, un altro moderato), comprendenti diverse mentalità, da quelle moderate e liberali a quelle d’origine democratica e agli ex-mazziniani, maggioranze che perseguivano riforme caute. La Sinistra Storica proseguì nell’allargare la base elettorale e giunse a rinnovare il codice penale e ad abolire la pena di morte. In politica estera, la Sinistra Storica stipulò nel 1882 la Triplice Alleanza con Austria e Germania, che restò fino alla Prima guerra mondiale nel 1915. 
La propensione alla variabilità di linea politica e allo spendere in modo eccessivo (il cuore della Sinistra Storica), iniziò a vacillare con il progressivo distacco di parlamentari. Dopo il 1886, abbandonò la Sinistra Storica un deputato piemontese, Giovanni Giolitti che non condivideva né l’insistere sul trasformismo né la spesa facile, e che inoltre riteneva opportuno rendere il Parlamento più attento ai cittadini, in specie i più deboli, nella prospettiva di amalgamare meglio i differenti stati sociali. Nel volgere di cinque anni, dopo le elezioni del dicembre 1890, la tradizionale Sinistra Storica non fu in grado di ricostituire la maggioranza e tornò il governo di un esponente della Destra storica in un’ampia coalizione, caratterizzata in politica estera dal rovesciamento della tendenza espansionistica in Africa seguita fino ad allora e, in politica interna, dalla politica di forte riduzione delle spese (in particolare quelle militari). Nella politica interna tale governo della Destra Storica non ebbe molto successo e a maggio 1892 governo cadde su un progetto di riduzione appunto delle spese in campo militare.
Tornò un Primo Ministro che proveniva dalla Sinistra Storica ma con accentuate caratteristiche liberali, il deputato Giolitti. Il suo Governo (che sarà il primo di diversi altri) si distinse per il comportamento tollerante verso le ribellioni in Sicilia e sul modo di avversare il socialismo (che in quell’estate si unì nel costituire il Partito dei Lavoratori, divenuto nei due anni successivi Partito Socialista Italiano, autodefinitosi “partito di classe”). Il Governo Giolitti rifiutò di intervenire contro i fasci siciliani dei contadini (in quanto reagivano alla miseria senza avere veri disegni politici) e non combatteva il partito dei lavoratori bensì le sue correnti anarchiche e violente. Perciò fu molto criticato dai conservatori. Anche sul tema degli strumenti politici rappresentativi, Giolitti svolgeva riflessioni in termini liberali, nell’osservare che il governo rappresentativo non può procedere regolarmente senza partiti organizzati su programmi chiari e precisi. Altrimenti dovrà appoggiarsi a mutevoli maggioranze, attorno ad interessi speciali e locali.
Durante l’anno successivo, gli oppositori del Governo Giolitti l’attaccarono non sui suoi programmi e neppure su proposte di intervento da fare, bensì sul richiamo alla morale del bene comune. Da oltre un decennio, la Banca Romana andava erogando prestiti disinvolti agli ambienti di rilievo della Capitale, dalla Casa Reale, a ministri e a politici. Tanto che il Governatore della Banca, Tanlongo, persona legata agli ambienti della Roma clericale, fu proposto per l’incarico di Senatore del Regno (in seguito non convalidato dall’Aula). Tali relazioni improprie vennero a galla con scandalo e fu istituita una commissione parlamentare di inchiesta voluta anche dal Governo, la quale nel novembre 1893 sancì che Giolitti, per i suoi rapporti con Tanlongo, era il solo responsabile politico dello scandalo (il che era singolare visto che certe pratiche erano in essere da oltre un decennio e Giolitti era in carica da pochi mesi). Il giorno seguente Giolitti rassegnò le dimissioni del Ministero. Ma negò di aver avuto un ruolo particolare e nei mesi seguenti presentò alla Camera una consistente documentazione a riprova dei rapporti con la Banca Romana di molti deputati, inclusa la famiglia del Presidente del Consiglio della Sinistra Storica predecessore e successore. In sostanza, lo scandalo della Banca Romana fu la prima manifestarsi in Italia della pratica di affrontare aspetti della gestione pubblica tramite l’esaltare il bene comune senza approfondire le circostanze prima di affrontare il merito. Al punto che nel 1894, al processo, l’avvocato di Tanlongo non contestò i fatti delle accuse bensì che costituissero reati, sostenendo che si trattava solo di irregolarità dovute ad esigenze economiche pubbliche e a pressioni del Governo. E così il cliente venne assolto.  
In quegli stessi anni e fino al termine del decennio, iniziarono ad apparire gli scritti di Benedetto Croce, che, per oltre i cinquanta anni successivi, resterà un faro del pensiero liberale, avviando una riflessione approfondita anche sul fatto che il dibattito politico si svolgeva soprattutto tra i sostenitori, marxisti e conservatori, dell’allargamento dell’intervento impositivo dello Stato. Quindi su una linea contraria a quella del liberalismo, che concepisce lo stato come garante del libero esercizio della libertà di cittadini autonomi.



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