di ANDREA CATTANIA <>
La lunga ricerca dell’Homo Sapiens per interpretare l’ambiente in cui si è trovato a vivere è stata affidata, inizialmente, alla pura immaginazione, e solo negli ultimi secoli agli strumenti concettuali che abbiamo elaborato in una progressione crescente. In questo lungo cammino, il soprannaturale ha avuto un ruolo di rilievo. I nostri antenati crearono innumerevoli leggende per spiegare l’origine dell’Universo: le varie religioni si fondano sull’idea di una o più divinità, che ogni comunità di Sapiens ha venerato e utilizzato per plasmare i propri modelli etici e culturali.
I modelli cosmici
Per un lunghissimo arco di tempo tali modelli hanno avuto condiviso l’idea di una fase iniziale, in cui l’Universo ha avuto origine, seguita da molti millenni durante i quali esso non si è modificato più di tanto. La Grande Domanda e le relative risposte hanno condizionato ogni fase dello sviluppo della nostra storia. Il mondo è stato creato da qualcuno o si è formato per il verificarsi di fenomeni, come un’esplosione nel magma quantistico primordiale? È in simili contesti che nascono miti e leggende, religioni e teorie scientifiche. Lo studio dei reperti fossili testimonia che l’uomo di Neanderthal seppelliva i propri estinti, anche se non sappiamo se lo facesse per il fatto di credere in un aldilà o, più semplicemente, per motivi affettivi.
Ogni cultura crea una specifica visione del mondo. Gli anziani del lago Mungo, nel Nuovo Galles del Sud (Australia), credevano che il mondo fosse stato realizzato dai loro antenati. Ma quando in una popolazione si instaura una fede, questa può diventare coercitiva e fissare vincoli ben precisi al comportamento dei suoi membri, fino alle conseguenze più estreme. Del resto, questa caratteristica non riguarda solo le religioni, ma anche ogni dottrina filosofica e ogni schema concettuale che pretenda di affermare verità conseguenti alle proprie premesse, senza preoccuparsi di trovare una verifica tale da renderlo convincente.
Il modello cosmico dei pitagorici, ad esempio, descriveva il moto degli oggetti celesti come una rotazione attorno a un fuoco centrale. Tali oggetti comprendevano il Sole, la Luna, la Terra, i pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), più la sfera delle stelle fisse. Ora, la somma di tali oggetti è nove, ma il totale non poteva essere che un numero perfetto, come il dieci, che è la somma dei primi quattro numeri naturali. Si doveva trovare, quindi, un decimo oggetto: e ci pensò Filolao, un pitagorico del V secolo a.C., che inventò Antiterra, un pianeta che nessuno avrebbe mai visto, dato che orbitava in una zona che risulta invisibile dalla Terra. E la storia della filosofia è piena di simili trovate: come il paradosso di Zenone, basato sull’assunto che la somma di infiniti addendi sia sempre infinito, il che è evidentemente falso.
Le religioni e il ruolo della Ragione
Prima della nascita della scienza moderna, il tentativo di imporre affermazioni non comprovate e di esigere come doveri assoluti dei comportamenti conseguenti era la regola. Questa prospettiva fu scardinata dalla rivoluzione galileiana, ma ciò richiese tempo e la transizione non fu immediata. Nella cultura occidentale, l’evoluzione concettuale che in campo filosofico consentì l’emancipazione da questo pesante vincolo prese forma dalla linea di pensiero che va da Cartesio a Spinoza, fino a proseguire con Kant, supportata sul terreno scientifico dal cammino iniziato con Galileo.
Questo impetuoso processo di risveglio della Ragione fu, almeno nella fase iniziale, furiosamente contrastato dalla Chiesa e dai portatori di una mentalità antiprogressista. Oggi sono presenti le condizioni per un confronto più pacato fra credenti e noncredenti, sempre però condizionato dal livello di sviluppo della società civile: la situazione potrebbe variare anche in modo imprevedibile.
Dopo molti secoli, nei quali la scienza ha messo in atto diversi tentativi per farsi strada grazie a personaggi che, sia pure dotati di notevole profondità di pensiero, non erano tuttavia riusciti a riscuotere un consenso generalizzato, verso la fine del Medio Evo si presentarono le condizioni per un grandioso rinnovamento di natura concettuale.
In vista di Cartesio
Durante il Rinascimento videro la luce numerose ricerche, e il pensiero moderno se le trovò in eredità insieme alla richiesta di un impegno a svilupparle nella cornice di una nuova visione concettuale. Il che avvenne, soprattutto sul terreno della scienza: in filosofia era ancora forte il condizionamento di una visione aristotelica, alla quale sembrava difficile rinunciare.
Oggi abbiamo una chiara consapevolezza dell’autonomia della scienza, ma nel Seicento la situazione era ben differente. Uno dei primi filosofi che percepì la possibilità di una radicale riforma del sapere su cui fondare la nascita della scienza moderna fu Francesco Bacone (1561 – 1626). Non per nulla, il suo pensiero fu definito “filosofia sperimentale”, e rappresentò un punto di riferimento per i filosofi dell’Illuminismo. Una significativa sintesi della sua visione è contenuta nelle conclusioni di un suo breve scritto del 1592, il Discorso in elogio della conoscenza: “Se ci lasceremo guidare dalla natura nell’invenzione, noi la comanderemo nell’azione”. L’idea centrale dell’opera di Bacone è che il rinnovamento della scienza e della tecnica avrebbe potuto accrescere enormemente il potere dell’uomo sul mondo. Ma non era ancora evidente la differente natura della filosofia e della scienza. Anche oggi molti scienziati scrivono testi filosofici, ma la differenza fra questi due generi è ben chiara a tutti.
Cartesio (René Descartes, 1596 – 1650) è ricordato oggi soprattutto in relazione al Discorso sul metodo e ai Principia philosophiae. È curioso, in particolare, il fatto che la prima di queste due opere sia stata scritta non come un testo autonomo, ma come introduzione a tre saggi scientifici: la Dioptrique, le Météores e la Géometrie.
La critica del sapere tradizionale
Il filo conduttore dell’opera di Cartesio è la ricerca di un fondamento assoluto di tutto il sapere. Egli parte dalla critica della cultura tradizionale, fondamentalmente umanistica e poco interessata a una ricerca razionale. L’alternativa da lui proposta è una nuova scienza fondata su un metodo rispondente a regole chiare e precise. Il suo pensiero ha una notevole portata innovativa, tanto che nel 1633 -essendo prossimo a concludere la stesura di un importante lavoro di fisica (Monde, ou traité de la lumièrè)- decise di non darlo alle stampe, in considerazione della condanna subita da Galileo. Quest’opera sarebbe stata pubblicata solo quattordici anni dopo la sua morte.
La regola cartesiana di non dare mai il proprio consenso alle affermazioni non ancora dimostrate con la massima evidenza venne accolta da Nicolas Malebranche (1638 – 1715), il quale peraltro si dichiarava profondamente convinto che la nuova scienza avrebbe offerto validi argomenti a supporto della fede cristiana. Benché allineato all’idea tradizionale della creazione, Malebranche deve però ammettere che dio, mentre crea il mondo, non può evitare di consultarsi con la ragione.
Questo passaggio offre a Baruch Spinoza (1632 – 1677) l’occasione per fare il passo successivo, sopprimendo la nozione di creazione: motivo per cui venne definito da Malebranche “miserabile”. Il suo pensiero si configura come una visione panteistica, nella quale dio coincide con l’ordine razionale dell’universo. La sua analisi critica dell’Antico Testamento, pubblicata nel 1670, suscitò un forte attacco da parte dei teologi protestanti e il suo testo finì per essere proibito.
La nascita della nuova scienza
Il fascino esercitato su Spinoza dall’opera di Euclide lo spinse a scrivere l’Etica ordine geometrico demonstrata, oggi il suo testo più noto. Qui il metodo geometrico viene assunto, con tanto di definizioni, assiomi e teoremi, per trattare un argomento prettamente filosofico come, appunto, l’etica.
Non a caso, i primi passi della scienza verso l’emancipazione dalla filosofia, dalla metafisica e dalla religione furono compiuti poco prima della nascita di Spinoza. Galileo Galilei (1564 – 1642) si dichiara sostenitore del sistema copernicano fin dal 1597 e, contemporaneamente, inizia le ricerche sulla caduta dei corpi pesanti. Dopo essere venuto a conoscenza di un nuovo strumento che si sta diffondendo in Europa, lo migliora e lo potenzia per poterlo utilizzare in astronomia. Nel 1610 pubblica nel Sidereus nuncius i risultati di una rivoluzionaria scoperta e adatta l’”occhiale” alla visione da vicino. Entrato in rotta di collisione con i rappresentanti della cultura aristotelica, viene accusato di eresia nel 1612 e nel 1614 da due diversi padri domenicani. La teoria copernicana viene dichiarata incompatibile con la fede cristiana, e la situazione precipita dopo la comparsa di tre comete (1619) e la pubblicazione del Saggiatore (1623), in cui questo fenomeno viene interpretato in un modo opposto a quello del gesuita padre Orazio Grassi.
Il cardinale Barberini sale al soglio pontificio e Galileo si illude di poterlo annoverare tra i suoi sostenitori, visti i buoni rapporti che corrono tra i due. Decide quindi di pubblicare il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), ma gli viene imposto di recarsi a Roma per comparire davanti al Tribunale del Sant’Uffizio. Per i suoi avversari, questo testo è “esecrando e più pernicioso per la Chiesa delle Scritture di Lutero e di Calvino”.
Processato e riconosciuto colpevole, Galileo è costretto ad abiurare. Il suo tentativo di indurre la Chiesa a riconoscere la libertà della scienza è fallito. Ma, come sappiamo, la Ragione avrebbe preso lentamente la sua rivincita.
L’evoluzione di un confronto
Oggi, il confronto fra credenti e noncredenti si pone in modo molto diverso. L’età dei Lumi si incaricò di dimostrare la vitalità del pensiero critico, dopo innumerevoli false partenze. Da allora, le scienze naturali e le scienze astratte hanno conosciuto uno sviluppo impetuoso, ma le ragioni del loro successo furono dovute soprattutto alle loro applicazioni pratiche, che hanno conferito all’uomo un notevole potere sulla natura, che non si era mai visto prima di allora.
Ai nostri giorni, i termini della questione si presentano capovolti: questo potere è aumentato a tal punto, da richiedere una maggior capacità di controllo, se vogliamo evitare di essere travolti dai nostri stessi successi. La velocità con la quale il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi aumenta in ragione esponenziale. Quei processi evolutivi, che avevano richiesto secoli, oggi si verificano nel giro di pochi decenni.
Se nell’ultimo dopoguerra il nostro Paese era oggetto di un duro scontro politico che aveva sullo sfondo ipotesi divergenti sul futuro assetto di una società che usciva da una dittatura, e la scelta era sul grado di laicizzazione della società e sul ruolo della Chiesa, oggi tali divergenze sono presenti in forma molto più attenuata e le sedi di questo confronto sono altre.
Disponiamo di tecnologie che ci consentono di colloquiare a distanza, con interlocutori che non conosciamo se non, forse, di nome, anche se il dibattito è vivace e sincero. In rete possiamo trovare riflessioni interessanti, condividerle quando ci convincono o rifiutarle se non ci troviamo d’accordo. Su questo terreno c’è molto da fare per quanti ritengono che ogni dibattito civile debba partire dal rispetto verso chi ha un’opinione diversa dalla nostra.
Nel dibattito in rete possiamo trovare i commenti più disparati. Giorni fa, mi è capitato di leggere un intervento contro “lo scientismo rappresentato da Piero Angela”, definito come “una religione i cui adepti sono per lo più atei”. Mi è sembrato giusto rispondere, osservando che, forse, in alcuni casi sarebbe forse opportuno documentarsi un po’ meglio, prima di lanciare accuse al vento. Ma nella medesima sede possiamo trovare anche validi approfondimenti su temi rilevanti, come il ruolo del codice morale per i credenti e per gli atei o la ricostruzione analitica dei testi su cui è basata la Bibbia.
Un valido motivo per non credere
In termini più generali, questi dibattiti dimostrano ancora una volta che esistono mille modi di essere credenti o noncredenti. Forse, uno dei limiti di simili confronti a distanza è rappresentato dall’elevato numero di interventi che iniziano con espressioni come “I cattolici pensano che” oppure “Gli atei ritengono che…”, quando una maggior consapevolezza della situazione ci dovrebbe spingere a dire “Esistono dei cattolici che pensano che…” o “Alcuni atei ritengono che…”
Ridurre il confronto a un derby con i relativi schieramenti e le opposte tifoserie non è una semplificazione funzionale all’esigenza di ridurre la complessità del confronto, ma indice di scarsa consapevolezza della reale articolazione delle posizioni che si registrano nei due campi contrapposti. Le motivazioni che spingono un credente a credere possono essere molteplici, ma lo stesso vale per quelle che spingono un noncredente a non credere.
Non dobbiamo dimenticare che nella prima fase della nostra formazione la coscienza è plasmata dal contesto familiare e scolastico, fino al momento in cui siamo maturi per decidere se accettare o meno quanto ci era stato -più o meno- imposto. In ogni caso, possiamo sempre prendere posizione in un senso o nell’altro: il credente può seguire i dettami della Chiesa alla lettera o in modo tiepido; può credere nella creazione dell’universo o limitarsi a seguire il codice etico imposto dalla propria fede. Può associarsi a chi fa proprie le visioni più integraliste, o vivere seguendo una mentalità laica.
Analogamente, il noncredente può assumere l’atteggiamento del classico “mangiapreti” o può vivere da agnostico; può cercare di convincere gli altri che “dio non esiste”, o scegliere di vivere la propria mancanza di fede come una connotazione naturale del proprio modo di essere, senza per questo giudicare il credente come un essere inferiore. Personalmente, mi sento molto vicino al pensiero di André Comte-Sponville: l’ateo non si dice certo della non esistenza di dio. L’ateo si limita a dire: “credo che dio non esista”, dato che non è possibile dimostrare con certezza né la sua esistenza né la sua non esistenza.
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