di RAFFAELLO MORELLI <>
La Dignitas Infinita
Lo scorso 2 aprile, il Dicastero Vaticano per la Dottrina della Fede ha pubblicato la Dichiarazione Dignitas Infinita, un documento abbastanza corposo frutto di una elaborazione lunga cinque anni, rivista dal Papa più volte. Argomenta in modo minuzioso e si prefigge di sviscerare il significato della dignità umana per la Chiesa oggi. Dunque, la procedura in sé mostra l’inutilità di cercarvi qualche novità strutturale di dottrina (mentre lo fanno quasi tutti i professionisti della comunicazione). Invece il Documento contiene parecchie conferme della necessità – sempre più urgente – di separare in modo netto lo Stato e la Chiesa e di irrobustire la pratica civile della libertà di religione.
La Dichiarazione Dignitas Infinita afferma all’inizio il solo fine di indurre alla riflessione per non smarrire la strada. Esprime la convinzione che l’umano, in quanto creato da Dio e redento da Cristo, acquisisce una sua inalienabile dignità. A questo avrebbe fatto eco il 10 dicembre 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dei paesi aderenti all’ONU.
Tale citazione illumina la logica del Dicastero vaticano. Infatti la Dichiarazione ONU non è stata sottoscritta dalla Santa Sede, proprio perché emanata da una decisione terrena estranea al divino. Oggi la Chiesa la richiama per poter sostenere che l’umanità fa eco a Dio quando tratta dei diritti umani, i quali, secondo la Chiesa, hanno origine da quella dignitas infinita impressa da Dio e certo non da un’artificiale autodefinizione umana. È una manipolazione logica. Collegata al rifiutare la realtà e al sostituirla con la supposta verità divina della dottrina. Una manipolazione reiterata con il dare alla dignitas l’aggettivo “infinito”, che anch’esso applica la vecchia abitudine del fingere di includere nel mondo reale quell’infinito collegato strettamente all’infinità divina ma di cui non esiste traccia effettiva.
Il riconoscimento all’Enciclica
In ogni caso, il reale intento della Dignitas Infinita è confermato dall’esplicito affermare che “l’enciclica Fratelli tutti costituisce già una sorta di Magna Chartadei compiti odierni volti a salvaguardare e promuovere la dignità umana”. Nel periodo dell’enciclica (ottobre 2020) l’ho commentata in dettaglio sul n. 69 di Non Credo cartaceo, e a quel commento rinvio gli interessati. Qui ne richiamo l’essenziale.
Scrissi che il fulcro della Fratelli Tutti sta nel citare un famoso detto di Aristotele (“l’essere umana è un animale politico”) per asserire che la missione della Chiesa non tocca solo il privato, bensì l’intera convivenza umana. E siccome la convivenza è il ruolo della politica, la Chiesa, riconoscendo l’autonomia della politica, le riconosce il diritto di occuparsi del convivere ma insieme stabilisce il proprio diritto di occuparsene quale Chiesa. In seguito, il Documento aggiunge quali siano le finalità per cui la Chiesa non resta ai margini nel costruire un mondo migliore. E chiarisce che i ministri religiosi sono fuori dalla politica dei partiti ma non possono rinunciare ad occuparsi del modo in cui gli esseri umani convivono. Perché appunto la fisiologia dell’essere umano è interagire con gli altri suoi simili.
In generale, sottolineavo che per l’enciclica la dimensione politica partitica e la dimensione religiosa non sono separabili, in quanto ambedue concorrono al bene comune degli umani. Posizione inaccettabile per i laici (infatti l’Enciclica già violava il Concordato), essendo palese che al giorno d’oggi il motore del mondo sono le scelte dei cittadini, non l’autorità religiosa. La quale non ha perciò ruolo nel progettare quelle scelte civili.
Dignitas Infinita, ulteriori passaggi
Il definire la Fratelli Tutti la propria Magna Charta, conclude il giudizio di cornice sulla Dignitas Infinita: ha lo stesso difetto d’impostazione dell’Enciclica, l’antiseparatismo sfrenato. Per curiosità conoscitiva, vale però la pena di proseguire nell’esame del suo testo.
La dignità umana viene sezionata in quattro categorie interconnesse (ontologica, morale, sociale, esistenziale). Già riferendosi alle prime due, la Chiesa conferma la sua dottrina tradizionale. La dignità ontologica riguarda la persona creata e amata da Dio e perciò non può mai essere annullata. Mentre la dignità morale può essere “perduta” nell’agire umano. Da qui la necessità di lavorare con tutte le forze, prescrive il Documento Vaticano, “perché tutti coloro che hanno compiuto il male possano ravvedersi e convertirsi”. In tal modo la Chiesa giustifica ancora una volta il diritto di imporre i suoi indirizzi nei comportamenti di vita, onde evitare il male della perdita della Dignità morale. Perché solo la Chiesa, almeno per i credenti, è depositaria del bene morale. Infatti, la nostra dignità “è un valore sacro che trascende ogni distinzione. Ci viene conferita, non è né pretesa né meritata”.
Successivamente il Documento del Dicastero per la Dottrina della Fede tratteggia la riflessione cristiana sul tema dignità umana nel corso dei secoli fino alla nostra epoca. Al giorno d’oggi, la Chiesa ha una triplice convinzione. La prima convinzione è che la Rivelazione conferisce alla Dignità umana un’indelebile immagine dell’amore di Dio quale unità inscindibile tra anima e corpo. La seconda convinzione deriva dal ruolo dato da Dio a Cristo con il farlo incarnare e il renderlo del tutto partecipe dell’essenza umana, iniziando dalla “grande novità del riconoscimento della dignità di ogni persona, ed anche e soprattutto di quelle persone che erano qualificate come indegne” (convinzione da tener ben presente, poiché da essa muove l’idea che tra gli individui pesino di più i deboli, i miseri, i sofferenti, cioè l’avvio, al di là degli intenti, di una grave distorsione concettuale nei meccanismi civili). La terza convinzione riguarda il destino finale dell’essere umano, che per il Dicastero è “la vocazione alla comunione con Dio destinata a durare per sempre”. Non è un’affermazione casuale. Infatti, precisa pure che ciascun essere umano è libero di manifestare la propria dignità orientandosi verso il bene dell’amore di Dio oppure di offuscarla con il peccato non vivendo alla sua altezza.
In proposito, adotta quanto detto da Benedetto XVI: “senza il correttivo fornito dalla religione, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale”. Quindi, ancora una volta, dando per scontata la figura di Dio e insieme l’immutabilità del tempo, la Dignitas Infinita in un sol colpo preclude la possibilità di una realtà probabilistica e del ruolo di una coerente autonomia umana nel conoscere. In altre parole, rifiuta il maturare del conoscere. Nel frattempo, insiste nel tentativo di confondere l’impianto religioso con quello civile, rifacendosi alle parole di Papa Francesco, “nella cultura moderna, il riferimento più vicino al principio della dignità inalienabile della persona è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”,
Diffidenza sulla libertà individuale
Ma allora, perché la Chiesa non sottoscrive quella Dichiarazione? Non lo fa perché la Chiesa persiste nel ritenere che il principio della dignità inalienabile rientri esclusivamente nella dottrina religiosa e non debba sottostare alle valutazioni e decisioni umane. Quella dignità la ha data Dio e solo lui può garantire che il rispetto sia incondizionato. Dunque, è scritto nel Documento, la difesa della dignitas infinita “non dipende dall’arbitrio individuale ma deriva da un contenuto oggettivo, fondato sulla natura umana”.
Per di più, il Dicastero per la Dottrina della Fede intende evitare “la prospettiva riduttiva di una libertà autoreferenziale e individualistica, che pretende di creare i propri valori a prescindere dalle norme obiettive del bene e dal rapporto con gli altri esseri viventi”. Perciò entra apertamente nel campo del convivere civico. “Sempre più spesso vi è il rischio di limitare la dignità umana alla capacità di decidere discrezionalmente di sé e del proprio destino, indipendentemente da quello degli altri, senza tener presente l’appartenenza alla comunità umana. In tale comprensione errata della libertà, i doveri e i diritti non possono essere mutuamente riconosciuti di modo che ci si prenda cura gli uni degli altri…; quando la libertà viene assolutizzata in chiave individualistica, la libertà è svuotata del suo contenuto originario ed è contraddetta nella sua stessa vocazione e dignità”.
Queste parole vorrebbero apparire pensose ma in sostanza esprimono una concezione di non rispetto dei singoli cittadini. Prendendole sul serio, allora chi avrebbe titolo per stabilire come vivere la libertà di ciascuno? Tali parole, negando più volte il valore dell’autonomia individuale, evocano le norme obiettive del bene (senza precisare quali siano) e le qualificano come frutto della natura. Così argomentando, la Chiesa fuoriesce dall’esperienza storica in vari sensi.
Suggerisce ancora il governo affidato alla divinità o al massimo a chi la rappresenta in terra. Insiste sulla impossibilità che l’individualismo adempia agli obblighi verso gli altri e in specie verso il resto del creato. Non trascura neppure la nostalgia per i governi di chi sarebbe consapevole del bene comune e esercita il potere aggirando il ricorso ai cittadini (di fatto ridotti a sudditi). In sintesi, manifesta una diffusa diffidenza verso la libertà individuale. La ragione è che “il libero arbitrio spesso preferisce il male al bene, perciò la libertà umana ha bisogno di essere a sua volta liberata”.
Un problema senza risposta
Con questo ragionamento, viene posto il problema. Cioè che “la liberazione dalle ingiustizie promuove la libertà e la dignità umana] ad ogni livello e rapporto delle azioni umane”. Ma chi agisce in concreto per liberare la libertà, considerato che secondo il Dicastero gli umani non ne avrebbero adeguata capacità? Non solo. Il Dicastero per la Dottrina della Fede scrive pure che perché sia possibile un’autentica libertà “sul pilastro della dignità umana vanno costruite le strutture sociali alternative”. Ma chi costruisce queste strutture alternative? Il testo non lo dice, insistendo più volte, invece, sul dover rispettare le indicazioni provenienti dalla religione di Dio. Un testo colmo di auspici accattivanti ma pienamente disattento ai concreti risultati sperimentali.
Nel complesso è chiaro che il documento della Dottrina della Fede, da un lato approfondisce mediante esempi precisi le diffuse condizioni di grave disagio che violano la dignità personale tra i cittadini, dall’altro lato non vuole accettare la lezione dei fatti. Eppure, è un dato comprovato che, al di fuori della credenza religiosa, non può funzionare il buonismo pacifista secondo cui l’uguaglianza non si limita ai diritti ma deve riguardare i cittadini per intero. L’esperienza storica ha ripetutamente mostrato che il metodo di gran lunga più efficace per “liberare la libertà” dai flagelli sempre incombenti (come, per citare passaggi della Dicastero, la povertà, l’accoglienza dei migranti, il commercio di organi, le violenze contro le donne e così via), è il conflitto sul cosa fare che si dipana tra gli stessi individui umani nel rispetto delle regole che loro stessi si sono dati e continuano a darsi. Non esiste un’élite cui affidarsi, né civile né religiosa, che decida cosa sia il bene e il giusto. Anzi, in base ai dati, i liberali sostengono che non può esistere.
Critiche malriposte
Tuttavia, non su questi aspetti vertono le critiche al documento piovute da parte dei mezzi di informazione dominati dal conformismo del dover essere civile, alla moda nelle proprietà e tra i giornalisti. Le critiche sono sulle materie del credo cattolico trattate dal Dicastero senza l’opportuno conformismo (quindi credibili solo se provenienti dai non cattolici dichiarati e soprattutto purché non violino la libertà di religione di ogni italiano) e, praticamente mai, toccano temi civili davvero fondati, vale a dire quelli del violare i principi della separazione Stato Chiesa o almeno la Costituzione.
Portare critiche del genere al Documento Vaticano, lo agevola, perché va incontro alle esigenze dei clericali. Di fatti non vengono trattati gli argomenti laici dell’autonomia civile, che mettono i clericali in oggettivo imbarazzo. Invece pullulano gli attacchi con uno sfondo di cultura impositiva (e sprazzi di anticlericalismo) non rispettosi della libertà religiosa oppure attribuzioni alla sola impostazione cattolica di caratteri che non le appartengono in quanto derivano dall’osservare il mondo concreto senza pregiudizi.
Tra gli attacchi a sfondo impositivo si possono annoverare le critiche per il non volere l’aborto (ma per le istituzioni laiche è fondamentale la libertà di interrompere la gravidanza non il diritto di aborto), per il non volere l’eutanasia (di nuovo è fondamentale la libertà di ricorrervi da parte della persona interessata, non il diritto di praticarla a terzi), per non volere la maternità surrogata (di nuovo per le istituzioni laiche è fondamentale la libertà di ricorrervi secondo i meccanismi di legge ispirati alla libertà individuale, non il diritto di praticarla a piacimento). Tutti casi in cui la legge da facoltà al cittadino individuo e non impone alcunché.
Del secondo gruppo è lo scandalo con cui troppi media hanno accolto il rifiuto della Dignitas Infinita per la teoria del gender. Tale rifiuto non è un capriccio che si è inventato il Dicastero per la Dottrina della Fede. È un fatto reale che tale teoria “cancelli le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali” o che “non si deve ignorare che sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare”. Chi attribuisce alla dottrina cattolica la scoperta di questa realtà sperimentalmente innegabile, le riserva in campo civile un merito che non è suo e nel medesimo campo ne allarga la zona di influenza. Avversano la teoria del gender anche i laici, che hanno tra i loro principi fondanti lo stare alla realtà concreta. Solo che i laici, essendo pure fautori della libertà individuale, pensano non solo che ogni cittadino sia diverso dagli altri, ma che possa comportarsi di conseguenza nel rapporto con il suo corpo. Per cui ciascuno ha diritto di sentirsi in grado di avere una dimensione sessuale propria, nella mentalità o nel trasformarsi per via chirurgica.
Solo il tentativo più recente
Per tutte le ragioni fin qui esposte, la Dignitas Infinita, utilizzando l’aggiornata sottigliezza gesuitica del suo Pontefice, percorre la strada dell’Enciclica Fratelli Tutti sul terreno tradizionale della dottrina della Chiesa. Pertanto, i laici rispettano le scelte religiose indicate dalla Dignitas Infinita (e ne garantiscono la libera pratica) ma di nuovo le ritengono inadoperabili per governare nella Repubblica Italiana la convivenza tra i liberi cittadini, nel concreto e al passare del tempo.
Basti pensare all’asserzione della Dignitas Infinita (che è assurda sotto il profilo sperimentale), per cui il cuore dello spirito politico sarebbe “sempre un amore preferenziale per gli ultimi”. Un concetto che denota l’intento di vedere la realtà in permanenza avvolta in un sogno di speranza. Cioè di qualcosa che nella storia non si è mai realizzato. Di qualcosa che è stato sempre utilizzato per lasciare gli ultimi, resi ebbri dal sogno. in balia effettiva dei potenti del momento. Un’antica attitudine di governo, che ha iniziato a cambiare a metà del 1600, quando iniziò a circolare l’empirismo che affidava la gestione delle cose del mondo alla libertà degli umani e non ai libri della divinità e della Chiesa sua rappresentante. E che da allora ha continuato ad evolversi nelle cose del mondo, ampliando di continuo a dismisura la conoscenza e la libertà dei cittadini individuo.
Peraltro, da quell’epoca e ancor oggi, l’organizzazione ecclesiastica non ha mai veramente riconosciuto di non essere più il fulcro del potere. E quindi in ogni tempo ha cercato di reperire, nelle pieghe della vita reale, tutte le storture e le carenze esistenti (da qui oggi il continuo richiamare la difesa dei più deboli) per proseguire nella pratica di illudere che la soluzione dei problemi si può trovare nelle speranze e nei sogni della religione invece che nei conflitti della libertà umana (e dunque nell’individualità e non nella massa, nella diversità delle persone e non nella loro uguaglianza). Confidando, con un simile accorgimento, di poter acquisire ancora una volta il centro del palcoscenico. Dignitas Infinita ne costituisce la riprova più recente.
Ed è per tale motivo che il mondo laico deve mantenersi vigile. Pieno rispetto alla libertà di credo e piena attenzione a non cadere nei tentati raggiri. Non dimenticando mai, perciò, di svolgere critiche fondate sulla realtà e lontane dalle suggestioni del conformismo ossequioso nei confronti delle esistenti gerarchie di potere clericale, pure civili.
Lascia un commento