di SERGIO MORA <>
L’età della confusione
Dopo il drammatico naufragio della “belle epoque”, la prima guerra mondiale aprì uno scenario d’irreparabile desolazione che comportò una drastica revisione di tutte le certezze.
L’architetto Adolf Loos (1870-1933) iniziò a demolire i concetti vetusti di “decorazione” che infestavano le facciate degli edifici. L’ornamentazione, soprattutto quella floreale, di derivazione “Liberty” aveva occultato la razionalità degli agglomerati urbani rendendoli asfittici e macabri, densi di significati funerari, come nelle antiche civiltà egizie.
Il significato imposto alle cose, nell’architettura, nella musica, nella letteratura e nella pratica politica non era più in diretta armonia con l’indirizzo assunto dalla realtà storica.
Karl Kraus (1974-1936) cercava di mostrare, tramite la critica letteraria e civile, come il declino del secolo si manifestasse soprattutto in un errato uso delle parole.
L’analisi di Sigmund Freud (1856-1939) aveva sovrapposto il mito dell’inconscio al disvelamento delle falsità come ulteriore paravento culturale.
Robert Musil (1880-1942) ebbe il coraggio di trasformare il caos collettivo in una sofisticata commedia borghese ignara che il gioco delle parti è irrimediabilmente cambiato.
I sonnambuli
L’epoca del sonnambulismo si manifesta quando la ragione ha abbandonato il senso comune dell’esistenza senza che nessuno se ne sia accorto. Predomina la certezza che tutto è come prima e che deve essere sempre come prima: la retrocessione cieca verso il mito di una infanzia innocente e rassicurante. In Italia la poesia, spesso criptica e indecifrabile, di Gabriele D’Annunzio (1863-1938) aveva steso chilometri di parole per fare della verità la più bieca tautologia dell’egoismo. Solamente Karl Kraus si era accorto che la prima guerra mondiale era stata il pretesto per dissodare il terreno economico del nuovo secolo. Una fredda strategia da “manager” seduti al tavolino. In quell’ottica priva di una valida idealità si era anche avvallata la caduta degli Zar e il simulacro di una nuova rivoluzione attraverso la realizzazione dello stato comunista.
L’aforisma
Nel linguaggio sintetico e sottilmente aggressivo di Karl Kraus traspare il risvolto segreto degli avvenimenti in corso. La sua tecnica letteraria, derivata in parte da Nietzsche (1844-1900), mostra il progetto occulto della civiltà moderna, opponendo ad una tesi affermativa il suo opposto. A ben vedere la struttura dell’aforisma, tanto cara a Kraus, si muove all’interno della filosofia idealistica di Hegel (1770-1931) mediante la declinazione di alcuni punti fondamentali: tesi, antitesi, sintesi. La novità della sua scrittura consiste nel coraggio dell’ironia e della dissacrazione come strumenti di demolizione del “falso”.
Il suono rivelatore
Anche la musica ha dovuto assumere nuove dimensioni espressive per essere in linea con l’evoluzione dei tempi. Arnold Schoenberg (1874-1951) aveva normalizzato l’estetica della dissonanza, già in uso durante il periodo romantico, allineandola all’interna della teoria musicale mediante la tecnica “dodecafonica”. L’impiego dei dodici suoni della scala cromatica veniva garantita tramite un sistema logico-matematico che impediva al compositore di ricadere nell’impiego della tonalità, sia pur allargata. Dietro il concetto, apparentemente astratto, di “atonalità” troviamo il senso della verità negata nell’epoca delle macchine, dell’industrializzazione e della pubblicità.
La “dodecafonia” mostrava quel buio opprimente che si celava dietro le luci illusorie delle moderne insegne luminose. Come nella “dialettica” di Kraus, la Seconda Scuola di Vienna, a cui apparteneva Schoenberg, dava evidenza ad un nuovo suono, capace di rovesciare il caramelloso e falso ottimismo imperante. Questa scandalosa e drammatica nuova estetica sarebbe stata alla base dell’evoluzione musicale successiva al secondo conflitto mondiale.
La musica verso il nuovo millennio
Per evitare che le vecchie consuetudini musicali, di radice post-romantica e wagneriana, tornassero a dominare lo scenario europeo, venne inaugurata, nel 1946, la Scuola di Darmstadt. Un correttivo equivalente alle costituzioni democratiche per evitare il formarsi di pensieri e correnti estetico-politiche retrive, di natura dittatoriale. Anche la musica è foriera di verità e di democrazia perché al servizio del pensiero nella sua positiva e critica accezione.
Anton Webern (1883-1945) è stato il caposcuola di questo nuovo indirizzo musicale. Allievo di Schoenberg, Webern propugnava una concezione del testo musicale di natura aforistica. Per evitare inutili circonlocuzioni ed inevitabili rientri formalistici di tipo ottocentesco, la sintassi di Webern agiva all’interno di poche note e nell’ambito di un ristretto numero di battute. Nei testi da lui musicati non sono mai presenti riferimenti teologici o religiosi. Simile a Schubert, ometteva ogni professione di fede confessionale. Pur non negando alcune fondamentali regole della scuola classica di Haydn, come Karl Kraus anche Webern giungeva alla sintesi di un processo logico-dialettico attraverso la concisione. L’epoca della ricostruzione, in cui si sono formati i musicisti di Darmstadt, necessitava di un suono efficace, capace di sottrarre dal buio del passato una nuova linfa vitale. Nella logica di una filosofia acuta e disinibita, simile a quella di Ludwig Wittgenstein (1888-1951) l’arte di Anton Webern ha creato delle formidabili miniature musicali dove si addensano i ritrovati della scienza e della cultura nascente.
Webern e la sintassi sintetica
Il compositore viennese, pur all’interno di un sintagma musicale apparentemente provocatorio e irrisolto, esaltava un nuovo ardimento logico: quello della possibilità. Un sorriso di intelligenza e di speranza si accendeva dietro i lutti e le devastazioni di due guerre mondiali. Un recente studio di Piero Venturini dedicato a Webern-“Funzione e forma” edito da Mimesis- argomenta la tecnica compositiva alla luce di una struttura musicale che sintetizza le esperienze storiche precedenti: dai fiamminghi al classicismo.
Nel giorno della memoria
Webern morì per errore, ucciso da un soldato americano tratto in inganno dal bagliore di un fiammifero che il musicista aveva strofinato per accendere una sigaretta. In un certo senso, anche Webern potrebbe essere accolto fra i protagonisti del giorno della memoria, per aver testimoniato contro l’oscurantismo dittatoriale e aver subito l’ingiusta sorte di chi della guerra è stata vittima inerme. Il suo pensiero musicale ha insegnato ai giovani di Darmstadt il rigore di una logica dotata di forza espressiva. Anton Webern è fra coloro che ci hanno donato quei magici mattoni con cui costruire il futuro utopico di un mondo migliore.
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