di LORENZO MENICHELLI <>
La distinzione tradizionale tra gli ebrei è tra ashkenaziti e sefarditi. Questa distinzione è antica di secoli e ha origine nella diaspora del popolo ebraico in Europa, Africa e Asia.
Gli ashkenaziti (germanici) sono gli ebrei che dopo la diaspora si stabilirono nell’Europa centrale e dell’est, mentre i sefarditi sono gli ebrei che nel 1492 furono cacciati dalla Spagna e si stabilirono principalmente nell’Africa settentrionale e nell’impero ottomano, ma anche in Italia e nei Balcani.
Dopo la fondazione d’Israele nel 1948 gli ebrei ashkenaziti sono diventati quelli originari non solo dell’Europa, ma anche di altri luoghi genericamente identificati come l’Occidente, per es. l’America del nord. Oggi in Israele sono il 30%.
Quasi tutti gli altri ebrei, cioè quelli che provengono da Africa, Medio Oriente e Asia, sono invece identificati come mizrahim (che significa “orientali” e che infatti fino alla prima metà del XX sec. comprendeva gli ebrei ashkenaziti orientali). Oggi il termine ha finito per inglobare non solo quello di sefarditi, ma comprende anche gruppi ebraici molto diversi tra loro dal punto di vista etnico, linguistico, culturale e religioso, al punto che in Israele sono di gran lunga la maggioranza (45%).
Parlare di Israele come di uno “Stato ebraico” non ha senso, poiché oltre il 20% è arabo e molti ebrei sono appunto di vari ceppi etnico-geografici, linguistici…, per non parlare del fatto che molti coloni non sono neppure ebrei, e all’interno di Israele esistono gruppi di cristiani e di drusi.
Secondo i dati risalenti al settembre del 2023, la popolazione di Israele è composta da 9,7 milioni di persone. Di queste il 73,3% sono ebrei, il 21,1% sono arabi (cioè cittadini palestinesi di Israele) e il 5,6% sono classificati come “altri” (cristiani non arabi, i drusi, alcune fazioni ebraiche lontane dall’ortodossia, ecc.).
Il sistema politico israeliano, peraltro, è stato pensato proprio per dare rappresentanza a tutte queste componenti e minoranze estremamente varie. Fino a qualche tempo fa era un sistema politico proporzionale puro, in un unico collegio nazionale, che consentiva l’elezione anche di partiti piuttosto piccoli, ma siccome negli anni ciò ha portato a una grossa instabilità politica, si è imposta la necessità di mettere uno sbarramento al 3,25%. Il voto è per lista, senza preferenze.
Definire cosa sia Israele sul piano puramente geografico non è semplice, poiché, nonostante numerose risoluzioni dell’ONU, i governi di Tel Aviv continuano a occupare, coi coloni, porzioni di territorio in Cisgiordania e a Gerusalemme est, nonché l’intero Golan siriano (riconosciuto nel 2019 da Trump come appartenente a Israele).
Lo Stato ebraico, attraverso la “Legge del ritorno”, approvata nel 1950 e più volte emendata, garantisce agli ebrei di tutto il mondo il diritto di trasferirsi in Israele e di ricevere automaticamente la cittadinanza (senza per questo perdere la cittadinanza del loro paese d’origine). Viceversa i non ebrei che vogliono diventare cittadini d’Israele devono risiedere nel Paese per almeno tre anni, dimostrare di avere una certa conoscenza della lingua ebraica e rinunciare alla loro cittadinanza precedente.
Con la Legge del ritorno ha diritto a tornare in Israele chiunque abbia un parente ebreo (da parte di padre o di madre) o si sia convertito alla religione ebraica. Non ne hanno diritto invece gli ebrei che si siano convertiti a un’altra religione. Il che è abbastanza ridicolo, in quanto il 44% degli ebrei israeliani si definisce “laico”, cioè non credente. Gli ultraortodossi, cioè gli ebrei fondamentalisti religiosi, sono solo il 14% della popolazione, anche se sono quelli che fanno più figli di tutti.
Tuttavia secondo un’interpretazione più ortodossa potrebbe essere definito ebreo soltanto chi lo è per discendenza matrilineare (quindi ha la madre o la nonna materna ebree). Questo fa sì per es. che attualmente in Israele vivano decine di migliaia di persone provenienti dall’ex Unione Sovietica, che non sono considerate formalmente ebree, in quanto la discendenza ebraica proveniva dalla parte paterna della famiglia. Queste persone si autodefiniscono ebree, ma nei censimenti e nei dati forniti dal governo israeliano sono inserite alla vice “altri”.
In ogni caso la Legge del ritorno ha fatto sì che, nei decenni, nello Stato di Israele arrivassero ebrei provenienti da ogni parte del mondo. Al punto che oggi non ha alcun senso dire che esiste una popolazione “bianca” ed “europea” che opprime una popolazione “di colore”. L’oppressione nei confronti dei palestinesi sembra essere diventato il criterio fondamentale per far parte dello Stato d’Israele, qualunque siano le caratteristiche fisiche, geografiche, linguistiche e persino religiose che definiscono un “israeliano”.
Rebus sic stantibus, aver promulgato nel 2018 una Legge fondamentale che istituisce una specie di Stato etnocratico è davvero una cosa senza senso.
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