di SERGIO MORA <>
Eredità morale
Cento anni fa, nel maggio del 1924, Arturo Toscanini restituì al Teatro alla Scala l’opera postuma, parzialmente incompiuta, che Arrigo Boito aveva lasciato come eredità morale ad una generazione di spettatori e intellettuali di formazione risorgimentale: il Nerone. Il romanticismo italiano, nei valori spesso abusati di “Dio, patria e famiglia”, aveva accuratamente occultato altre verità, altri dubbi e ricerche come il pensiero agnostico.
Positivismo e idealismo
Giuseppe Mazzini, pur essendo imbevuto di una cultura positivistica e fortemente massonica, vedeva nei concetti sopra esposti l’aspetto aggregante per la formazione di una nuova religione che avrebbe dovuto concretizzarsi nel concetto di unità nazionale e di patria.
Arrigo Boito (1842-1918) si era formato attraverso un iter letterario “transalpino” basato sugli scritti di Goethe e i testi dei simbolisti francesi, in primis Baudelaire e Victor Hugo.
L’Italia post-unitaria conosceva i primi disagi urbanistici per la ricostruzioni della principali città della penisola e la nascita delle periferie operaie.
Gli ideali di elevatezza filosofica romantica si trovavano a scontrarsi con una realtà alienante e deprimente: il contrario di quanto avevano preconizzato i patrioti della prima ora.
Il regno ordinato
I temi svolti da Boito in musica, Mefistofele e Nerone, volevano inquadrare nella Storia la presenza corrosiva e assorbente del “nulla” che coincide spesso con il cinismo di chi permette il male come forma di convenienza e di passività: il “motore immobile” della passività critica che si trasforma nel regno ordinato della paura.
Il “Nerone” di Boito contiene gli anticipi dilazionati di quel Novecento di guerre mondiali e di ingiustizie che non ebbe modo di conoscere direttamente.
Arrigo Boito visse la contraddizione di essere un rivoluzionario in gioventù e un reazionario nella maturità: combatté nella seconda guerra d’indipendenza ma fu difensore della repressione del generale Bava Beccaris nel 1898 e successivamente fu un interventista nella Prima guerra mondiale.
Ormai anziano e ammalato si recò al fronte per vedere i giovani morire sulle trincee.
Il “nulla” albergava nel senso ineluttabile della Storia e per questo motivo il suo “Nerone” segna l’eterno scontro del “bene e del male” come una follia collettiva: la psicosi religiosa come auto-immolamento e quella politica come suicidio di massa.
L’opera rimasta incompiuta fu fatta ricostruire da Toscanini grazie l’ausilio di Tommasini e Franchetti che completarono la strumentazione e le parti irrisolte.
Nella musica di Boito predomina il recitativo ed il declamato drammatico di scuola verdiana.
Altre tracce di Verdi si possono notare nelle parti corali che alludono ai “Quattro pezzi sacri”.
Armonia spettrale
Manca però quella ciclicità tematica capace di tenere assieme l’intera composizione. Arrigo Boito non amava né l’impressionismo francese né l’espressionismo tedesco. La sua personale rivoluzione armonica risiede in una tonalità spettrale, priva di una sua evidente evoluzione.
Il suo “debito d’onore” verso la tradizione, ormai morta, del melodramma diventa una macabra postilla della Storia, dove la sola e laica “Pietas” può essere vista come una reale panacea a cui aspirare.
Nel suo centenario, il “Nerone” di Boito, ora ritornato sul palcoscenico di Cagliari, è il ricordo di una sconfitta di tutti quegli ideali che avevano ispirato il secolo precedente.
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