Cronologia essenziale del Liberalismo (Cap. 12 La prima guerra mondiale, anno 1915)

di RAFFAELLO MORELLI <> 
 I sette mesi 1915
Nei mesi del passaggio dal neutralismo (estate 1914) a interventismo (metà primavera 1915), l’esercito italiano si potenziò sia nell’organizzazione umana che negli armamenti, tuttavia la situazione nel complesso restava parecchio carente. In sintesi, era molto forte la mancanza di bocche da fuoco di medio e grosso calibro, praticamente non c’erano mitragliatrici né si era in grado di produrle in tempi stretti, non si disponeva di mezzi per distruggere i reticolati e le altre difese accessorie del nemico (quasi incredibile tenuto conto che le battaglie in corso da oltre nove mesi in Francia e Polonia avevano provato come avercele fosse decisivo), la notevole arretratezza dell’aviazione, sia perché si era puntato sui dirigibili e non sugli aeroplani sia perché non venivano ancora usati gli italianissimi aerei Caproni i cui brevetti spopolavano in America ed Inghilterra (in Italia entrarono in funzione tardivamente). Insomma, ciò è un’ulteriore riprova che l’entrata in guerra non derivò da pressioni dell’apparato militare, bensì da una manovra imposta dalla Corona (che fu determinante), grande stampa, poteri economici (inclusi numerosi ambienti cattolici in dissenso con il Papa) , massoneria, minoranza socialista, notissimi letterati e futuristi, interventisti uniti sulla parola d’ordine di completare il risorgimento e di portare all’unità del paese.

Stando così le cose, la caratteristica principale delle truppe italiane era l’entusiasmo aggressivo di chi ha una missione. Circostanza acuita dall’essere Capo di Stato Maggiore il gen.  Luigi Cadorna, un piemontese assai conservatore, molto legato a Casa Savoia, il quale pretese di combattere la guerra a modo suo attraverso lo Stato Maggiore nel Veneto orientale, per emanare ordini fondati su una disciplina rigidissima e per mettere in atto una strategia imperniata sull’ assalto frontale ad oltranza che fiaccasse gli asburgici, al prezzo di enormi perdite tra gli italiani. Dunque, un entusiasmo militarmente disciplinatissimo assai diverso dall’esaltazione degli interventisti.  

La strategia di Cadorna dovette ben presto fare i conti con il massiccio sistema di fortificazioni austriaco al confine. Che era lungo 800 chilometri dallo Stelvio al mare ed era per lo più in posizioni elevate in mano agli austriaci. Le fortificazioni erano soprattutto trinceramenti in cemento e in calcestruzzo protetti da estesi campi di mine, da più ordini di reticolati in filo metallico e da un poderoso armamento in mitragliatrici. Il tutto assistito da una fitta rete di comunicazioni telegrafiche, telefoniche ed ottiche, che consentivano rapidissimi concentramenti di fuoco.

Di conseguenza, il celere sfondamento delle difese austriache progettato da Cadorna venne bloccato e presto la guerra divenne uno scontro di logoramento in cui il sogno delle spallate italiane si infrangeva contro i baluardi nemici. Così i guadagni territoriali furono esigui. Oltretutto dovendo l’esercito italiano dare aiuto agli alleati dell’Intesa nella guerra in Russia (in cui stavano prevalendo gli Imperi centrali) e negli scontri in Serbia (nonostante la contrarietà di Cadorna, focalizzato sulla sua guerra in Italia) e in particolare valutando pure l’entrata in guerra dell’Italia anche contro la Turchia ottomana (dovuta al complicarsi della situazione in Africa Settentrionale) che finì per impegnare parecchio la Marina, e infine l’occupazione dell’Albania.  

A gennaio 1916 l’agenzia pubblica di informazioni Stefani riconosceva, con un eloquio assai laudativo, che in otto mesi di dura lotta l’esercito aveva mantenuto inalterato un contegno aggressivo pur in inferiorità rispetto al nemico, quanto a posizioni e preparazione del terreno. E scriveva “L’esercito italiano guarda al nuovo anno con legittimo orgoglio per le gesta compiute e con incrollabile fiducia nell’avvenire. Inspirandosi all’esempio di S. M. il Re, primo fra tutti in ogni evenienza di guerra, e sorretto dalle cure costarti ed affettuose del Paese, dalle ardue prove superate trae incitamento a moltiplicare gli sforzi per l’avvenire sino al completo raggiungimento della gloriosa mèta additatagli della volontà della Nazione“. 

Come si vede un approccio propagandistico per nascondere le difficoltà in atto e che neppure menzionava quanto stava verificandosi dal punto di vista politico e di quello economico. Alla fine del 1915, cattolici e neutralisti ricominciavano ad agitarsi in chiave politica, e i socialisti ufficiali tennero dimostrazioni disfattiste, espellendo dal partito i compagni volontari di guerra, negando ai compagni morti sul campo le onoranze funebri, attaccando i cosiddetti guerrafondai. Sul piano economico, furono varati diversi inasprimenti fiscali di una certa consistenza ed emesso un terzo prestito nazionale al 5% per 25 anni con interessi esenti da imposizione fiscale. Provvedimenti che al momento vennero accolti con forte disponibilità (la Camera votò con larga maggioranza salvo una parte consistente dei giolittiani ed i socialisti) anche assistita da una selva di comitati provinciali, ma che ponevano le basi per future difficoltà economiche (nonostante l’esaltazione plebiscitaria che ne fecero i suoi fautori). 

Da segnalare inoltre che, sempre nelle ultime settimane del 1915, proseguirono le polemiche pubbliche del Papa con il Regno riguardo la libertà di esercizio del proprio magistero vigendo la legge delle Guarentigie.  L’occasione fu il Concistoro di inizio dicembre, in cui Benedetto XV, pur dando atto delle buone intenzioni italiane, riaffermò che la Chiesa necessita dell’autonoma giurisdizione per esercitare davvero la propria funzione.  In aula, il Ministro V.E. Orlando confermò la piena validità della legge del 1870. E sottolineò   che proprio la guerra in corso era la conferma che Benedetto XV “mantiene intatto il suo prestigio e goda di tanta libertà e indipendenza. Così noi abbiamo assistito in Roma, ad un funerale ordinato dal Santo Padre in suffragio di tutti i caduti della guerra, senza eccezione, compresi i nostri nemici”.