Un percorso attraverso l’occultismo: tra Ermetismo e Alchimia
di RICCARDO RENZI <>
Ermetismo e alchimia sono due entità che spesso vanno di pari passo e che da secoli attraggono studiosi, appassionati e semplici curiosi. Per prima cosa c’è da dire che i Filosofi Ermetici non amano indulgere alla speculazione filosofica. Né manifestano inclinazione alcuna per le teorie della metafisica. Oggi ci si atteggia ad esperi di alchimia solo dopo la lettura di qualche libro su di essa, mentre sembra vi sia una curiosa reticenza a studiare i testi stessi dell’Ermetismo. Le due materie vanno però a braccetto tra loro e devono essere trattate in modo speculare. Il fine ultimo dell’alchimia è sempre stato quello della preparazione della Pietra Filosofale e dall’antichità si è sempre cercato di lasciare dei manuali con le istruzioni. Un anonimo Adepto esorta: «Lapidem Philoosophorum intelligere curae sit vobis & fundamentum sanitatis vestrae, thesaurus divitiarum, notitiae verae naturalis sapientiae, & certam naturae cognitionem eodem tempore adepti eris». Tradotto: «La vostra preoccupazione sia quella di capire la Pietra dei Filosofi, e nel contempo otterrete il fondamento della vostra salute, il deposito delle ricchezze, la nozione della vera sapienza naturale e la conoscenza certa della natura». Risulta, dunque, erroneo e superficiale definire l’Ermetismo una Gnosi. Ne erano consci i filosofi alessandrini, i quali non ebbero mai se non aspre polemiche con gli gnostici loro contemporanei.
Sull’alchimia, l’alchimista francese Pierre-Jean Fabre affermava nel 1636: «L’alchimia non è soltanto un’arte o una scienza per insegnare la trasmutazione metallica, ma una vera e solida scienza che insegna a conoscere il centro di ogni cosa, ciò che nel linguaggio divino si chiama Spirito di Vita». Parlare oggi di alchimia provoca però ilarità, poiché essa è considerata una sorta di stravagante illusione. Gli alchimisti in realtà furono gli adepti di una filosofia spirituale, devoti ad essa come a una religione. L’Alchimia è un sistema filosofico esoterico di antichissima datazione.
L’arte alchemica prese avvio nell’Antico Egitto, o meglio tutti gli alchimisti di cultura occidentale fanno risalire l’origine della loro arte all’Antico Egitto. La città di Alessandria in Egitto fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza fino al declino della cultura egiziana antica. L’Alchimia Egizia è sintesi mirabile tra scienza sperimentale e spiritualità, in quanto gli Egizi erano essenzialmente pratici e pragmatici, così anche la loro religione non era misticismo. I Greci si appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole, nell’ambiente sincretistico della cultura alessandrina, con le filosofie del Pitagorismo e della scuola ionica e successivamente dello Gnosticismo. La filosofia pitagorica consiste essenzialmente nella credenza che i numeri governino l’universo e che siano l’essenza di tutte le cose, dal suono alle forme. Il pensiero della scuola ionica era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone e Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante dell’alchimia. L’arte alchemica oltrepassò la caduta del mondo classico, come molte altre dottrine filosofiche, grazie alla mediazione del mondo islamico, per poi approdare nel medioevo. Nell’alto Medioevo essa cadde in disuso, ma dal Mille e Cento si ripresero i contatti con gli Arabi e con le loro tradizioni filosofiche derivanti da classici greci e latini. Nel XII secolo va ricordata la figura del più importante dei traduttori di opere arabe, Gerardo da Cremona, che interpretò Averroè, tradusse l’Almagesto, e forse alcune opere di Razes e Geberus. Il rientro vero e proprio dell’alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando Roberto di Chester tradusse dall’arabo il Liber de compositione alchimiae, un libro dai forti connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale un saggio, Morieno, erede del sapere di Ermete Trismegisto, insegna al Re Calid. Il materiale alchemico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo Alberto Magno (1193-1280) affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi e nel Liber de Alchemia di incerta attribuzione. È a questo punto che gli occidentali si riappropriarono di Alchimia ed Ermetismo.
Senza dilungarci ora su figure emblematiche come quella di Nicholas Flamel, ci andremmo a concentrare sulla poetica e filosofia ermetica nel Novecento.
Per prima cosa c’è da chiedersi perché un ritorno all’ermetismo espressivo e concettuale dopo tanti secoli?
Il termine venne proposto per la prima volta per indicare la nuova poesia degli anni Venti del Novecento Francesco Flora, in senso dispregiativo. Tale tipologia poetica deriva dal simbolismo francese di Mallarmé, Valéry, Verlaine, Rimbaud ed è parte integrante della poetica decadente. Il nome deriva da Ermete, dio delle scienze occulte, sta a significare la difficoltà di penetrazione di una poesia che, al primo approccio, è ardua da interpretare. Ecco che nuovamente torna il celato, portatore di segreti che non possono essere rivelati. Tale poesia contiene in sé i segreti umani e li custodisce attraverso la parola, bene più prezioso e occulto. Solo gli adepti della parola, solo i conoscitori di quel linguaggio, cioè i poeti, possono trarne fuori il reale significato. Del resto tutta la poetica decadente, della quale l’ermetismo è parte, era aliena dalla preoccupazione di rendere comunicabili i propri messaggi, che prevenivano dalla profondità del subconscio. Dunque, l’ermetismo poetico si attesta proprio in tale temperie culturale. Tale linguaggio fa un uso smodato dell’analogia, per cui le immagini appaiono fortemente contratte, le parole sono cariche di attribuzioni evocative, la tecnica espressiva non è più costituita da rapporti sintattici, ma analogici e i due termini messi in contatto sono così distanti da generare assoluta oscurità. Dunque, questa poetica, a differenza dell’ermetismo filosofico e dell’alchimia, che solamente dei fraintendimenti le hanno rese materie oscure, è realmente e volutamente oscurata mediante l’utilizzo di un linguaggio criptico e incomprensibile ad un lettore comune. Quello ermetico è un linguaggio voluto e cercato. Tali poeti combattono la poesia del passato, in particolare il dannunzianesimo e il pascolismo, ma anche le altre correnti contemporanee. In certi schemi metrici si avvicinano ai crepuscolari, ma si distaccano da loro per il tono aspro e denso; si rifanno, in un certo senso, al frammentarismo di Campana e di Covoni, ma la loro arte appare più consapevole e coerente di quest’ultimo.
Il merito maggiore degli ermetici è quello di avere inserito la nostra letteratura nella più vasta matrice spirituale europea. In loro c’è molto dello spiritualismo esoterico presente in autori romantici quali Ficthe e Novalis. Possiamo però concludere che la denominazione di tale corrente è il frutto di un fraintendimento terminologico lungo secoli, che dall’Antichità, attraversando il Medioevo, è giunto sino a noi.
Bibliografia
L. Giusso, La tradizione ermetica nella filosofia italiana, Milano, Ed. F.lli Bocca, 1955, p. 23.
Lux Obnubilata Suaptè Natura Refulgens, cera de Lapide OPhiklosophico Theorica, metro italico descripta, et ab auctore Innominato Commenti gratia ampliata. Venetiis MDCLXVI, apud Alexandrum Zatta, Superiorum Permissu & Privil. Proemium
Pierre-Jean Fabre, L’Abrégé des secrets chymiques, où l’on voit la nature des animaux, végétaux et minéraux entièrement découverts, avec les vertus et propriétés des principes qui composent et conservent leur être; et un traité de la médecine générale, Paris, Pierre Billaine, 1636.
U. Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 2022, p. 132.
F. Buzzetta, Profezia, magia e alchimia in epoca medievale e rinascimentale, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2024, pp. 5-12.
E. Crema, Ermetismo e simbolismo in poesia, Siena, Ausonia, 1948, p. 2.