Chi si riconosce nel NonCredente?
di CARLO TAMAGNONE <>
Che cos’è un non-credente?
Il forte riflusso religioso che caratterizza gli ultimi decenni, con un aumento preoccupante degli integralismi e delle intolleranze ideologiche dettate dalla fede, ci induce a guardare alle categorie di coloro che vi si oppongono. Da una parte abbiamo quindi, per limitarci alle fedi più note, ebraismo, cristianesimo, islam e induismo, dall’altra il loro rifiuto o critica, espresso come ateismo, agnosticismo o laicismo (da non confondere con laicità). Una fede religiosa presuppone due requisiti principali, il senso dell’appartenenza ad essa e la credenza nel referente (o nei referenti). Nel caso dei monoteismi il referente è un dio unico, mentre nell’l’induismo (data la sua complessità) vi è monoteismo nelle forme mistiche, ma insieme a triteismo e politeismo nelle forme ritualistiche. In ogni caso, chi una fede la rifiuta, o semplicemente la ignora, si caratterizza per una non-appartenenza fideistica e per una non-credenza in alcuna trascendenza. Come si sa ecclesia significa assemblea in senso comunitario; possiamo quindi affermare, per estensione, che comunità religiosa e credo religioso siano i due elementi-base di una fede, ai quali si contrappone l’autoescludersi dal far parte di tali comunità né avere dei credo di alcun tipo.
Come si caratterizza un non-credente?
Si tratta preliminarmente di cercare di definire se c’è (e in tal caso qual è) una differenza tra l’essere atei, agnostici, laicisti, oppure non-credenti. In realtà anche i primi tre sono da considerarsi dei non-credenti, laddove i non-credenti possono essere atei, agnostici o laicisti. Possiamo allora dire che la categoria della non-credenza è più vasta di quelle di ateismo, agnosticismo e laicismo; la prima essendo negazione del divino, la seconda indifferenza o dubbio sul divino, la terza deciso rifiuto dell’ingerenza del religioso nel civile. Laicista può quindi essere considerato indicativo del non-credente che assume atteggiamenti socio-politici contro l’ingerenza religiosa (che non necessariamente, o almeno non principalmente, qualificano l’atteggiamento ateo o agnostico). Ciò significa che l’ateo e l’agnostico sono implicitamente anche laicisti, ma che praticamente possono astenersi dall’esser attivi in tal senso. Per contro può darsi il caso che un cristiano un islamico o un induista di ispirazione “laica”, decidano per ragioni civili, etiche o socio-politiche, di operare ed esprimersi in senso laicistico. Se ne evince che l’unica categoria inclusiva delle altre è quella dei non-credenti, proprio perché si qualifica già nel nome senza ulteriori connotazioni.
Perché qualificarsi non-credente?
Può darsi che la non-credenza si presti a categorizzazioni antropologiche, ma è difficile affermare tout court che il non-credente rifiuti ogni forma di appartenenza; egli può infatti aderire a comunità di tipo non-religioso ma ascetico, o assumere appartenenze di tipo laico. La non-credenza va quindi vista come categoria di carattere polivalente ma comunque irreligiosa, che aggiuntivamente può essere filosofica o socio-politica. D’altra parte, proprio nella sua inclusività, essa può concernere, come abbiamo visto, sia l’ateo teorico (filosofico) che l’ateo pratico (comportamentale), sia l’agnostico nel suo poter essere incredulo o possibilista circa l’esistenza del divino, sia il laicista nel suo contrastare l’ingerenza religiosa nella vita civile del suo paese.
Neutralità del non-credente
Abbiamo visto che la non-credenza ha la prerogativa dell’inclusività, mentre né l’ateismo né l’agnosticismo né il laicismo l’hanno, a causa della loro maggiore specificità. E tuttavia la non-credenza non patisce ambiguità da indefinizione, poiché il non-credere è concetto definito e inequivoco. Il qualificarsi non-credenti presenta poi un vantaggio di tipo “sociale” non trascurabile nel suo essere “neutro” rispetto alla spiritualità in generale, mentre l’ateo può passare per estremista radicale e materialista e il laicista intollerante verso l’istituzione religiosa. Il non-credente esercita in un certo senso un’“astensione” dagli atteggiamenti più evidenti di contrasto alla religione come gestione del sacro, poiché non necessariamente può essere insensibile a qualche tipo non-fideistico di sacralità (per esempio della natura). La sua caratteristica sta pertanto sì in un “non” che lo “stacca” nettamente da ogni fede religiosa, ma senza atteggiamenti che possano esse colti come ideologici o aggressivi contro il senso del sacro. Il non-credente può esser ateo o laicista ma può anche non esserlo, quindi né è radicalmente anti-spiritualista e né aggressivamente anti-comunità religiosa.
Quali i vantaggi della non-credenza?
Da quanto sopra esposto si evince una opportunità “sociale” della qualifica di non-credente che si accompagna nello stesso tempo a un’accettabile “definizione” di sè, per quanto minimalista; ciò insieme ad un’aura di “apertura” dialogica, mentre altre categorie (pur includibili nella non-credenza) possono dare l’impressione di “chiusure” concettuali o comportamentali. Vi è inoltre un grosso vantaggio nel qualificarsi non-credente rispetto a laicista, agnostico ed ateo. Il laicista passa infatti per un “ideologizzato” avversario per principio dell’istituzione religiosa e l’agnostico può passare per ignavo, incapace di discernere e prendere partito. Ancora peggio, ovviamente, per l’ateo, il quale viene spesso accusato di “credere” alla non-esistenza di dio senza essere capace di portare prove dirimenti al riguardo. Noi pensiamo che ci siano fondate ragioni a giustificare l’ateismo e tuttavia ci accorgiamo che la non-credenza ha il vantaggio di sottrarsi a connotazioni negative del tipo citato, soprattutto perché non si può dire al non-credente: «tu credi alla non-credenza». Si tratta solo di un vantaggio retorico-dialettico? Forse. Quel che è certo è che il non-credente sul piano dialogico è meno vulnerabile dell’ateo, del laicista e dell’agnostico.
Il senso della non-credenza
E tuttavia la non-credenza non è solo atteggiamento opportunistico o politically correct. Il non-credente è “slegato” a principi o a credi confessionali, essendo la non-credenza “neutra”. In secondo luogo, il non-credente è estraneo ad ogni forma di mono-cultura, poiché la non-credenza per definizione è “fuori” da ogni adesione a un pensiero unico di carattere aprioristico o “rivelato”. In questo senso il non-credente appare persona tollerante, che nel negare il proprio assenso a una fede le ammette tutte in un orizzonte pluriculturale senza condividerne alcuna. E tuttavia il non-credente non è accusabile di ignavia, perché in quanto “estraneo” ad ogni credenza a-priori (quindi irrazionalistica) gode comunque di un propria definizione ideale. Inoltre; se l’ateo può considerarsi messo “al margine” in un società di credenti (o a maggioranza di credenti), il non-credente proclama semplicemente una ”distinzione” che non lo emargina, ma lo lascia integrato come “dissidente” rispetto al pensiero dominante. Un non-credente, infine, potrebbe anche essere un adepto del buddismo, dello yoga o del taoismo, indirizzi mistico-metafisici che non implicano credenze nel divino, ma unicamente una tendenza ascetica al benessere individuale in integrazione panica con la natura.