In Francia l’aborto nella Costituzione

di RAFFAELLO MORELLI <>

I Parlamentari francesi in seduta comune a Versailles hanno appena modificato, sfiorando l’85% dei voti, l’art.34 della loro Costituzione inserendovi la libertà di aborto (come, sei anni fa, aveva fatto il referendum Costituzionale in Irlanda). È un episodio di assoluto rilievo nel quotidiano confronto tra concezioni della convivenza civile, quella dei laici e quella del cattolicesimo. Non a caso, in Francia il diritto all’aborto c’era già dal 1975 quando la liberale Simone Veil, allora Ministro della Salute (e in seguito Presidente del Parlamento Europeo), promosse la relativa legge, superando una durissima opposizione. Eppure le continue tensioni in materia attivate dai conservatori in tempo recenti – in Francia ma pure in diversi paesi, quali Stati Uniti, Polonia, Ungheria, Malta – hanno indotto la politica francese a compiere il passo ulteriore del rendere costituzionale la libertà di aborto. Una libertà che resta una decisione riservata alla donna in gravidanza, ma che ora viene inclusa nella libertà di scelta di ogni cittadino che intenda praticarla.

La vicenda del voto a Versailles mette in luce due aspetti che il mondo laico non può mai trascurare. Uno, palese seppure meno importante, è che quasi tutti i mezzi di comunicazione hanno riportato la notizia parlando di costituzionalizzazione del diritto all’aborto invece che della libertà di aborto. Può sembrare una sottigliezza ma rivela che i mezzi di comunicazione concepiscono la Costituzione come impositiva sui cittadini piuttosto che come regolatrice delle relazioni tra di loro. Un’impostazione del genere indica il propendere a dare alle norme una funzione prescrittiva di un obbligo piuttosto che indicatrice di opportunità nello scegliere. E perciò oggi i mezzi di comunicazione inclinano di fatto alla cultura imperniata sul primato dello Stato e non articolata sull’esperienza dei differenti cittadini. Quindi una cultura lontana dalla laicità liberale. È un aspetto inquietante che richiede dai laici una continua attenzione terapeutica.

Come prevedibile, le crepe aperte nel sistema di relazioni da questo primo aspetto, hanno trovato un’immediata conferma nel presentarsi del secondo aspetto. I vescovi francesi hanno subito colto la palla al balzo commentando. “L’aborto rimane un attentato alla vita fin dall’inizio, non può essere visto esclusivamente nella prospettiva dei diritti delle donne”. E la Pontifica Accademia per la Vita ha rincarato “nell’epoca dei diritti umani universali, non può esserci un diritto a sopprimere una vita umana”.  In pratica la Chiesa parla solo di diritto all’aborto e non di libera scelta di interrompere la gravidanza.  Appunto perché, secondo la sua dottrina, ogni fatto terreno deve inquadrarsi nel disegno divino. Ragion per cui non sono ammissibili libere scelte umane di singoli – è qui l’abissale lontananza dall’impostazione laica –, in quanto la vita non si attuerebbe mediante le relazioni umane, bensì in base al disegno e alla volontà divini.

Ne consegue che, per il cattolicesimo, la vita inizia all’atto del concepimento, perché   tale atto ancestrale attiva il progetto di quel feto umano, che sarebbe destinato a crescere prescindendo dalle specifiche continue attenzioni che i genitori devono riservagli successivamente. Perciò secondo la Chiesa, interrompere il processo dopo il concepimento è sopprimere una vita. Con tale impostazione la Chiesa esclude in sostanza le autonome scelte umane. Ciò contrasta nel profondo con il modo di essere laico in tema civile. Tuttavia la Chiesa argomenta rimuovendo il fatto che la realtà è questa.

Difatti, il presidente della Pontificia Accademia, monsignor Paglia, ha tentato di confondere le carte. Per attaccare l’entrata nella Costituzione francese della libertà di interrompere volontariamente la gravidanza, ha affermato che “la Chiesa chiede a tutti i governi e a tutte le tradizioni religiose, di dare il meglio affinché la tutela della vita diventi una priorità assoluta, con passi concreti e con misure effettive. Le particolari situazioni di vita e i contesti difficili e drammatici del nostro tempo vanno affrontati con gli strumenti di una civiltà giuridica che guarda prima di tutto alla tutela dei più deboli e vulnerabili “. Con queste parole, monsignor Paglia pare esprimere l’intento misericordioso della Chiesa, ma in realtà manifesta che essa, nel definire la tutela dei più deboli, ha l’evidente volontà di svolgere un ruolo di direzione civile estraneo all’ambito religioso. Perché la Chiesa, fondandosi sul principio di autorità del Dio e dei suoi rappresentanti in terra, tratta i cittadini quali sudditi che partecipano senza mai decidere.

Non serve a niente che i laici si indignino per tale stato di cose. La fisiologia della Chiesa è questa ed è immutabile: fa parte della diversità della natura umana. Invece è indispensabile contrastare questa inclinazione autoritaria della Chiesa ogni giorno nelle relazioni di convivenza, a cominciare dall’aspetto culturale alla base delle Istituzioni e dei nostri comportamenti quotidiani.