“La cantatrice calva” di Eugène Ionesco
di DARIO LODI <>
“In nome della religione, si tortura, si perseguita, si costruiscono pire. Sotto il manto delle ideologie, si massacra, si tortura e si uccide. In nome della giustizia si punisce. In nome dell’amore per il proprio Paese o per la propria razza si odiano altri Paesi, li si disprezza, li si massacra. In nome dell’uguaglianza e della fratellanza si sopprime e si tortura. Fini e mezzi non hanno nulla in comune, i mezzi vanno ben oltre i fini. Ideologie e religione, sono gli alibi dei malvagi.”
È una frase di Eugène Ionesco (1908-1994), drammaturgo e saggista romeno naturalizzato francese. La frase sembra in netto contrasto con un’intervista a “Litterae Communionis” nel dicembre 1988, dove l’artista sentenzia che tutto è assurdo se manca dio. Si dice “sembra” perché le cose sono molto più complicate di quanto appaiano. La “colpa” di questa complicazione sta nella complessa personalità di Ionesco. È una personalità consistente, variegata, imprendibile, animata da una gran voglia di vivere e di capire profondamente le cose. Questa gran voglia cerca un centro dal quale s’irradia il concetto di verità. Senza un centro, senza un punto di riferimento, la verità vera non ha senso, non ha significato. Se dico che la verità è dio, sta in dio e io in qualche modo ne godo di conseguenza, in quanto sua immagine e somiglianza, la cosa è più semplice. Se avessi uno scatto speculativo, se interrogassi senza pietà la mia coscienza, potrei arrivare a sapere che in realtà devo contare solo su me stesso. La coscienza della solitudine non è affatto singolare. Per colmarla potrei sostituire, come si diceva, il dio-totem alla necessità di giungere a una capacità intellettiva superiore a tutte quelle convenzionali, ma forse resterei impotente e insoddisfatto a vita. La storia insegna che lo sviluppo intellettivo è cosa possibile. Molto probabilmente, Ionesco si ritrovò, in modo dinamico sublime, nella situazione di doversi creare un mondo ragionevolmente abitabile e migliorabile dalla consapevolezza e dall’azione evolutiva dell’intelletto. Ionesco non perde di vista la percezione delle cose superiore alla loro visione. E invoca, in cuor suo, un ordine, una linea, una logica del tutto, che infine trova nel dubbio che anima la dialettica, esorcizzabile dall’impegno nel conoscerne la scaturigine. C’è dunque una via: la ricerca di una cognizione oggettiva premendo sulla percezione. Quando dice dio Ionesco intende spesso questa remota oggettività, che ha in sé la logica dell’essere. Si tratta di armonizzare il soggetto con l’oggetto, così la visione ha senso. La ricerca del mezzo per farlo è ardua, ma l’uomo ha il dovere di non demordere, di non arrendersi.
Ionesco denuncia la situazione conservatrice della piccola borghesia che si è fatta da poco e che non ha altri valori se non una sorta di perbenismo di stampo aristocratico (non nel senso etimologico del termine) rappresentato dal denaro. La mancanza di un’esposizione intellettuale seria è evidente nelle opere di Ionesco e soprattutto nella sua prima, “La cantante calva” (1950), bollata come commedia dell’assurdo. L’autore rifiutò sempre questa etichetta, sostenendo che non c’è nulla di assurdo nel suo teatro, semmai c’è un senso nuovo, assunto per evidenziare l’assurdità di quello tradizionale. Il “nonsense” è altra cosa, come prova lo scritto del grande Achille Campanile (autore di divertissement sarcastici, squalificanti ogni presunta virtù umana).
“La cantatrice calva” nasce da un’idea di Ionesco, intento, si dice, alla lettura di un prontuario della lingua inglese, del quale colse l’assurdità delle esposizioni se messe in scena e collegate fra loro senza alcun intervento logico, conseguente. L’esito è esilarante, alla fin fine a un livello di sconsolatezza. Ionesco compie il suo scopo di provocare affidandosi a un linguaggio sconclusionato, ripetuto meccanicamente, senza un minimo di autocritica. Solo bassa autoreferenzialità fine a se stessa, concettualmente cieca, totalmente allo sbando senza che vi sia una minima consapevolezza. Terribile e sconsolante. Un’umanità numerosa persa nelle proprie misere rappresentazioni, conservatrice e implicitamente idolatra del sistema, a sua volta borghese e prigioniero del materialismo più vieto.
Appare chiara la missione di Ionesco: sta nell’allontanare l’umanità da ogni forma d’oppressione, d’imposizione delle idee; sta nell’avversione verso le istituzioni fossilizzate nel loro sembrare e chiuse al ricambio. Ionesco è contro la dittatura, è contro le frasi fatte, è contro la retorica ed è, magari indirettamente, contro il potere ecclesiastico, tranquillamente allineato a quello laico. Entrambi risultano di bassa lega se hanno prodotto dittature (che l’autore conobbe da vicino).
La pseudo-commedia (un atto, undici scene) non ha uno svolgimento aristotelico (preambolo, svolgimento, morale) bensì è un fiume estenuante di parole vuote, senza che un personaggio abbia contezza della cosa, tranne la figura del pompiere che si macera, segretamente e in modo leggero, nel dubbio: non si può fare qualcosa di meglio che pensare e agire come marionette? Il pompiere potrebbe disperarsi, vedendo che tutto procede come un fiume lento e silenzioso (sostanzialmente i discorsi dei personaggi portano al nulla e dunque al silenzio), ma anche lui non ha spina dorsale e si arrende al tran tran. Di fronte a tutto ciò, e a freddo, il pubblico non reagì bene. Cinque anni più tardi, “La cantatrice calva” ebbe invece successo. Dal 1957 viene rappresentata nel Teatro “La Huchette” di Parigi, sempre pieno.
Per comprendere l’amara ironia di Ionesco, ecco lo incipit dell’opera:
Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto a un fuoco inglese. Porta occhiali inglesi; ha baffetti grigi, inglesi. Vicino a lui, in un’altra poltrona inglese, la signora Smith, inglese, rammenda un paio di calze inglesi. Lungo silenzio inglese. La pendola inglese batte diciassette colpi inglesi.
Signora Smith: Già le nove. Abbiamo mangiato minestra, pesce, patate al lardo, insalata inglese. I ragazzi hanno bevuto acqua inglese. Abbiamo mangiato bene, questa sera. La ragione si è che abitiamo nei dintorni di Londra e che il nostro nome è Smith.
Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).
Signora Smith: Le patate sono molto buone col lardo, l’olio dell’insalata non era rancido. L’olio del droghiere dell’angolo è di qualità assai migliore dell’olio del droghiere di fronte, ed è persino migliore dell’olio del droghiere ai piedi della salita. Non voglio dire però che l’olio di costoro sia cattivo.
Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).
Signora Smith: Ad ogni modo l’olio del droghiere dell’angolo resta il migliore…
Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).
Senza impegno intellettuale, la stagnazione civile e culturale è inevitabile, sino alla continua torsione su se stessa. In fondo, è l’impegno intellettuale, sentimentalmente aperto (il sentimento è l’anima dello spirito) è l’autentico riferimento maggiore e affidabile (per quanto sofferto a vario titolo) del grande Ionesco, altro che totem divino esangue e soffocante!
L’espressione di Ionesco è molto simile a quella del dadaismo di Tristan Tzara, le cui rappresentazioni teatrali, in Svizzera a Zurigo, nel corso della Prima guerra mondiale indignarono i borghesi. Tzara, e amici, volevano annullare del tutto il vecchio mondo basato su valori nominali (si ricordi la fraternità fra gli uomini, stabilita dalla Rivoluzione Francese) mai messi in pratica. Agli occhi dei dadaisti nulla valeva del vecchio mondo, tanto è vero che è esso stato solo capace di portare a una guerra sanguinosa come mai nella storia (poi, lo sappiamo, sarà peggio con la Seconda guerra mondiale). Nella realtà, il dadaismo non intendeva voltare pagina in modo drastico, bensì portare nuove energie intellettuali, sicuramente capaci di concretizzate le virtù umanistiche, compresse e spesso sacrificate per bassi interessi materiali. Il dadaismo esprime una filosofia elitaria, con pretese di super intelligenza e super sensibilità nascoste nel disgusto per la società corrente: quella futura dovrà essere più attenta e rispettosa delle cose e soprattutto degli uomini, chiamati responsabilmente a determinarle. Ionesco non filosofeggia, bensì cerca di andare ancora più nel vivo della questione che rivela una società in balia della propria pochezza per una scelta istintiva di presunto benessere totale (ovvero non solo materiale). Il materialismo, sembra affermare Ionesco, obnubila le menti. Le pance piene soddisfano la ragione primaria, alimentare e spingono le persone sulla poltrona con le pantofole ai piedi e il solito giornale stremato nelle mani. Non esiste la speculazione personale, si accetta di tutto, si smarrisce la bussola. C’è tanto cuore in tutto questo, tanta passione e tanta amara considerazione dei tanti, troppi, signori Smith e signori Martin (gli altri personaggi della farsa) più i molti pompieri intontiti e troppo moderatamente perplessi, chiamati ad animare la farsa umanistica per eccellenza, “La cantatrice calva”, appunto.