Giuseppe Rensi tra scetticismo e ateismo
di RICCARDO RENZI <>
Giuseppe Rensi fu uno dei filosofi più influenti del suo tempo, uno di quelli che mutò profondamente il modo di pensare la filosofia nelle accademie e che riuscì a ridare vigore allo scetticismo facendo riscoprire le basi greche di questo pensiero. Non è in questa sede che si andrà a ricostruire la biografia del Filosofo, ma consigliamo alcuni testi fondamentali per comprendere la vita e il pensiero del filosofo, come Giuseppe Rensi interprete del pensiero antico di Untersteiner o Giuseppe Rensi di Meroi[1]. Rensi visse tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, un’epoca nella quale non era così ben visto lo scetticismo e il dubitare di tutto, anche di Dio. Rensi fu un intellettuale “irrequieto” o meglio costantemente “inquieto”, era un uomo costantemente in disaccordo, che al gusto intellettualistico, un po’ gorgiano, di evidenziare le ragioni meno appariscenti di un fenomeno e più contraddittorie rispetto al comune sentire, aggiungeva uno spirito del tutto elitario della continua opposizione, doveva essere costantemente in disaccordo. Questa filosofia del dissenso, o meglio “del dubbio continuo”, gli viene però dalla sua formazione classica e da quel Socrate che tanto aveva amato in gioventù. Lo stesso Rensi afferma che la sua «è una filosofia inconsueta, ostilissima alla mente di coloro, i quali vogliono dormire sonni pacifici nel letto morbido delle soluzioni conclusive»[2]. Rensi con la sua filosofia cerca di inserirsi in quel filone di scetticismo della tradizione italiana che lui stesso genera ex novo e nel quale inserisce, o meglio “arruola” gli autori più disparati: si va da Dante a Petrarca, per poi passare a Boccaccio, Ariosto, Pulci, Folengo, Pico della Mirandola, Machiavelli, Guicciardini, Galileo, Bruno, Melchiorre Delfico, Manzoni, Leopardi, Arturo Graf, Pirandello, Ausonio Franchi, Bonaventura Mazzarella. Questi gli arruolati da Rensi. Ma cos’è lo scetticismo, secondo Giovanni Bovio, «è l’intimità del genio italiano, è il fondo e il riflesso della nostra storia e di tutta la nostra vita»[3]. Rensi afferma che pensare l’oggi è possibile solo se si ricrea tale continuità con questi pensatori del passato, andando così a ricercare l’oggi a ritroso. Sui concetti di verità divina e di bene e di male così si esprimeva: «Se anche la verità, come concezione divina, esistesse, se anche cioè la realtà avesse una determinata conformazione, sua vera, noi non potremmo conoscerla»[4]. L’uomo è dunque incapace di conoscere la verità dietro la realtà e una sua eventuale origine divina, come è incapace di discernere tra bene e male: «la ragione umana è radicalmente incapace di distinguere il bene dal male»[5]. Per comprendere a fondo il rapporto tra Rensi e la religione un saggio si rivela di fondamentale importanza, Giuseppe Rensi tra Leopardi e Pascal ovvero l’autocritica dell’ateismo negativo in Giuseppe Rensi, di Augusto Del Noce pubblicato nel 1966. Rensi come tutti i “giovani filosofi” (Croce, Gentile e Martinetti) del suo periodo, nell’affrontare il primato del problema metafisico-religioso, tendono a mettersi in contrasto con coloro che lo hanno affrontato della generazione prima della loro. Del Noce critica questi quattro filosofi per aver rifiutato l’aspetto rivelativo del problema metafisico-religioso e per averlo trattato solo selettivamente, ma, prescindendo dal fatto che si sia d’accordo o meno con tale critica, le sue osservazioni rispetto al tipo di selettività operato da ciascuno di essi -Gentile accentuando l’aspetto della Creazione continua, Croce la superiore Provvidenza storica, Martinetti e Rensi la Salvezza e la Redenzione in assenza del divino – possono essere utili anche solo per un’ermeneutica interna alle loro differenti proposte. Rensi, a differenza degli altri tre, affronta il problema metafisico-religioso, in una forma esplicitamente “ateistica”, anzi in lui tale forma è portata quasi all’esasperazione. Dunque, giunti a questo punto non possiamo non menzionare Apologia dell’ateismo pubblicata nel 1925. L’opera fece la sua prima apparizione nella collana intitolata appunto «Apologie» che era partita per l’editore Formiggini nel 1923. La collana era stata da Formaggini ideata affidando a ciascun esperto di una determinata religione, spesso anche appartenente confessionale alla stessa, una focalizzazione essenziale degli aspetti più specifici e peculiari di essa, una focalizzazione che nel contempo permettesse un confronto, in senso dialogico, con le altre. L’editore volle inserire Rensi nella collana, ma non con un testo sull’ateismo, questa decisione destò perplessità nell’editore[6]. Rensi voleva inserire l’ateismo in questa collana delle religioni del mondo, poiché concepiva l’ateismo come esso stesso una religione migliore di quelle esistenti. Alla fine Formaggini accettò poiché condivideva con Rensi l’amore per il dubbio, il paradosso e l’anticonvenzionale. Il volumetto si presenta come un commento ad una raccolta di aforismi di quegli autori citati in apertura di questo saggio[7] che Rensi aveva arruolato tra gli atei. Degli aforismi riportati da Rensi, uno risulta più esplicativo di molti altri, attinto allo Zibaldone di Leopardi:
«la nostra opinione intorno a un Dio composto degli attributi che l’uomo giudica buoni è una vera continuazione dell’antico sistema che lo componeva degli attributi umani», è opinione «della stessa natura, andamento, origine di quella che attribuiva agli Dei figura e qualità e natura quasi del tutto umana»[8].
Rensi, in tutta l’opera, insiste sulla completa frattura tra le idealità umane, da un lato, e l’esperienza del mondo reale, dall’altro. Quest’ultima esperienza non lascia spazio ad alcun tentativo di presupporre un’origine comune e superiore che stabilisca un’armonia tra le idealità umane e il mondo reale. Dunque, non vi è prova di un’origine comune dell’uomo, di un’origine divina, ma questa “comunanza” altro non è che il frutto dell’unione di più sovrastrutture di pensiero che tendono an una concezione di origine comune per l’umanità tutta. Rensi è un filosofo fortemente anti-crociano e anti-gentiliano, nei suoi scritti spesso si richiama al materialismo di Roberto Ardigò.
Rensi per i suoi tempi fu un totale rivoluzionario, uno scettico materialista radicale, sempre pronto a mettere in dubbio tutto e che a più ripetuto pagò questo suo modo realmente libero di pensare.
[1] Vi sono molti altri testi di grande importanza necessari per comprendere il pensiero di Rensi, come: A. Montano, Giuseppe Rensi: ethica ed etiche, Napoli, Arte tipografica – Istituto italiano per gli studi filosofici, 2006; P. Serra, Giuseppe Rensi. La rivolta contro il reale, Enna, Città Aperta Edizioni, 2006; N. Greco, Giuseppe Rensi: la filosofia morale, Palermo Viaggidicarta, 2007.
[2] G. Rensi, La filosofia dell’autorità, Palermo, Sandron, 1920, p. XI.
[3] G. Bovio, Saggio critico del diritto penale, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 25.
[4] G. Rensi, Le antinomie dello spirito, Piacenza, Pontremolese editore, 1910, p. 148.
[5] Ibidem.
[6] Ciò è ampliamente dimostrato dal carteggio tra i due conservato presso la Biblioteca di Modena e studiato Meroi per la stesura del volume pubblicato nel 2009 e citato in apertura del saggio.
[7] Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Pulci, Folengo, Pico della Mirandola, Machiavelli, Guicciardini, Galileo, Bruno, Melchiorre Delfico, Manzoni, Leopardi, Arturo Graf, Pirandello, Ausonio Franchi, Bonaventura Mazzarella.
[8] G. Rensi, Apologia dell’ateismo, introduzione di A. Torno, Milano, La vita felice, 2009, p. 79.