Territori estremi: gli Itelmeni e un credo materialistico ai limiti dell’ateismo

di RICCARDO RENZI (Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo) <>

La penisola della Kamčatka o della Camciatca è una penisola lunga 1250 km situata nell’Estremo Oriente Russo, dalla superficie di circa 270000 km². L’Oceano Pacifico e il Mare di Ochotsk ne bagnano rispettivamente il litorale orientale e occidentale. Immediatamente al largo, lungo la costa pacifica della penisola, corre la fossa delle Curili, profonda 10500 m[1]. Questa terra per molti secoli venne considerata fitta di mistero, sino a quando nel terzo decennio del XVIII la Seconda Spedizione incaricata dalla Zarina Anna non ne esplorò sistematicamente il territorio, entrando così a contatto con gli autoctoni, gli Itelmeni. Tali abitanti derivavano dai mongoli del nord, che approdarono in quelle zone circa 7000 anni fa. Gli Itelmeni, al momento del contatto con la spedizione russa, vivevano prevalentemente di pesca del salmone e di commercio di pellame[2]. Dal punto di vista sociale, le genti erano organizzate in piccoli villaggi e la gerarchia sociale fagliare era preponderante. I Cosacchi e in parte anche i Russi avevano iniziato a colonizzare quei territori già dalla fine del XVII secolo. Però riuscirono a mantenere e preservare i loro costumi e la loro religione sino ai primissimi decenni del XIX secolo. Essi avevano un culto animistico-politeistico[3]. Una delle opere fondamentali per lo studio di tale popolo è Beschreibung von dem Lande Kamtschatka dell’esploratore tedesco Georg Wilhelm Steller[4] che partecipò alla famosa Seconda Spedizione dal 1740 al 1744. Egli riuscì ad entrare profondamente a contatto con la popolazione, redigendo poi un trattato sui loro usi e costumi. Dal punto di vista religioso, presso di loro non esisteva un concetto di spirito inteso cristianamente come manifestazione ed essenza stessa della divinità. Per loro gli dei dovevano costituire qualcosa di fisico e tangibile, palpabile. Nella gerarchia divina il dio Kutka occupava un ruolo primario, poiché da lui originò tutto. Contrariamente dalla concezione cristiana, essi non si rapportavano con lui come entità suprema, ma lo consideravano sciocco, poiché aveva generato un mondo imperfetto. Perciò essi, non solo si sentivano superiori al dio supremo, ma lo deridevano anche. Kutka era sposato con una donna molto intelligente e di rara bellezza, Chachy. Essa aveva il compito di preservare quel dio primordiale e scelerato dalle sue stesse azioni. I due vissero insieme per molti anni e generarono i capostipiti dei futuri Itelmeni. Il dio viveva di caccia e pesca, proprio come un comune mortale. Kutka risponde solo ai desideri fisici, è una sorta di animale primordiale, schiavo del cibo e del sesso.

Particolare risulta anche la concezione dell’aldilà di questo popolo. Si parte dal presupposto che Kutka non fosse in grado di distinguere tra bene e male, perciò era compito degli Itelmeni avere e sviluppare una propria morale. Quindi si confidava nella buona sorte, in una lunga vita terrena, con la speranza che questa fosse continuata anche dopo la morte. La vita dopo la morte continuava però negli inferi, dove vi era il dio Haetsch che li prendeva in custodia per l’eternità. Gli Itelmeni credevano che qualsiasi corpo, di qualsiasi creatura, dopo la morte si ricongiungesse con l’anima. In una concezione così materialista come la loro era inconcepibile l’esistenza dell’anima senza quella del corpo. La vita dopo la morte sarebbe continuata negli inferi e tutti avrebbero ripreso le proprie attività da dove si erano interrotte in vita. Secondo la loro concezione, l’uomo è felice solo quando lavora, poiché così si guadagna da vivere. Inoltre concepiscono l’universo come una botte a triplo fondo: sotto alla Terra si trova un altro cielo e un’altra Terra, cioè quella degli inferi, ove sarebbero finiti. Inoltre vigeva una vera e propria legge dantesca del contrappasso, chi in Terra si era arricchito, negli inferi avrebbe vissuto da povero; chi in Terra aveva lavorato poco, negli inferi avrebbe lavorato molto e così via. Nella cultura di questo popolo tutte le leggi sull’Aldilà non vennero mai messe per iscritto, ma dovevano rimanere segrete ed essere tramandate oralmente da padre in figlio. Secondo la tradizione anche Kutka sarebbe morto per poi risalire dagli inferi e raccontare ai primi Itelmeni che cosa vi fosse.

È ora opportuno soffermarci sulla concezione materialistica della religione di questo popolo. Il loro dio spremo, Kutka, ha tutte le caratteristiche e i difetti, addirittura accentuati dell’uomo comune, inoltre proprio come i mortali anche lui si è imbattuto nella morte. Altro fatto rilevante è la concezione fisica del corpo, non esiste anima senza corpo. A ciò si aggiunga il concetto costante di lavoro, che accompagna l’uomo anche dopo la morte. Inoltre la vita dopo la morte è concepita con le stesse identiche caratteristiche di un continuum di una vita terrena. Senza tante forzature potremmo definire tale popolo dal punto di vista religioso come degli atei materialisti ante litteram. Mi permetto di definirli atei, perché per la profonda religiosità che in quell’epoca c’era in tutto il globo, essi praticano una sorta di ateismo profano, sbeffeggiando addirittura il loro dio creatore, poiché più umano degli uomini stessi.


[1] Camciatca, in Treccani.itEnciclopedie on line, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

[2] A. Necajev, Camciatca: un paese pieno di misteri nell’Oriente russo, Mosca, Ivan Cerepov, 1994, p. 65.

[3] E. Lo Gatto, Storia della Russia, Firenze, Sansoni, 1947, pp. 506-515.

[4] Georg Wilhelm Steller (Windsheim, 10 marzo 1709 – Tjumen’, 14 novembre 1746) è stato un botanico, zoologo, medico ed esploratore tedesco attivo in Russia, considerato un pioniere della storia naturale dell’Alaska. Si veda: L. Stejneger , Georg Wilhelm Steller, the pioneer of Alaskan natural history. Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1936.