“Paesi di origine sicuri”… ma chi decide quali e per chi lo sono?

di MARIA GIGLIOLA TONIOLLO <>

Nell’inquietante presente di moltiplicazione dei fronti di guerra, l’immigrazione incontrollata è per l’Europa uno dei problemi politici più complessi. L’immigrazione è una grande avventura umana, riempie i notiziari, interroga la politica, muove i governi. Nel gran parlarne, trapelano aspetti meno indagati, interrogativi pesanti sui limiti di umanità e di intelligenza o meglio sugli espedienti di disumanità e di vera e propria crudeltà di chi comanda i Paesi, il nostro compreso. Un esempio, la trovata dei “Paesi di origine sicuri”, vero e proprio stratagemma a rendere più facili dei respingimenti, artificio secondo il quale per tanti cittadini e per tante cittadine diventa più complesso portare avanti una richiesta di asilo in Italia e in altri Paesi, “storia sbagliata” in un contesto di ordinamenti democratici. Il problema più drammatico è che, infine, la normativa europea prevede la possibilità di dichiarare inammissibile qualsiasi richiesta di asilo proveniente da un “Paese Sicuro” (Direttiva 2013/32/UE Art 33/c).
La nozione di “Paese di origine sicuro” è tratta dalla direttiva 2013/32/UE e consente di processare in maniera diversa le richieste di asilo di chi arriva da Paesi inclusi in una lista autonomamente decisa da ciascuno Stato membro. L’Asylum Information Database dell’European Council on Refugees and Exiles mette a disposizione le liste di “Paesi sicuri” dei diversi Stati dell’Unione Europea, la cui lettura presenta analisi inquietanti.
La forza di questo provvedimento è stata dirompente e sta determinando una grave compressione del diritto di asilo, infatti, l’inserimento di uno Stato nell’elenco dei “Paesi di origine sicuri” si traduce immediatamente in una sterilizzazione de facto del diritto di asilo per coloro che provengono da certi Stati, in una pesante discriminazione e in una grave violazione della Costituzione italiana e della Convenzione di Ginevra, dove si riconosce il diritto soggettivo a chiedere protezione a chiunque abbia timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinioni politiche, orientamento sessuale, identità ed espressione di genere.
Il dl 4/10/2019 aveva introdotto per l’Italia una prima lista, di cui facevano parte Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Ucraina e Tunisia. Con l’aggiornamento del dl 17/03/2023 è stata rimossa l’Ucraina e sono stati aggiunti Georgia, Gambia, Nigeria e Costa D’Avorio. È indubbiamente necessario riflettere a fondo sul senso di “Paese di origine sicuro” e su quali presupposti si fondino le note liste. Si dà il caso infatti che in Marocco, in Tunisia e in Algeria le persone omosessuali rischino fino a tre anni di carcere, così come in Uganda, dove peraltro a luglio è stata approvata una nuova agghiacciante legge che, in tema di omosessualità, arriva a prevedere detenzione e pena di morte e pene fino a dieci anni di carcere per chi promuove i diritti di gay, lesbiche e trans. In Senegal si arriva a cinque anni, in Nigeria a quattordici, negli Stati islamici si può applicare la pena di morte e in Gambia si può arrivare all’ergastolo. Sempre nella lista italiana si possono trovare anche Paesi che, nonostante una legislazione ufficialmente “tollerante”, vivono in un clima pesantemente omofobo e repressivo, come nel caso della Costa D’Avorio. Non è pertanto accettabile un unico principio secondo il quale il “Paese di origine sicuro” sia esclusivamente quello che non ha una guerra ufficiale in corso.
Secondo l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione i criteri di compilazione e di aggiornamento della lista italiana restano alquanto oscuri, dando luogo a diverse perplessità. Di fatto, confrontando la lista con i più recenti dati ISTAT sui residenti stranieri in Italia, sorge un sospetto, in quanto ci si può rendere conto, per esempio, che quasi tutti i Paesi citati coincidono con Paesi dell’Africa e dell’Europa extra Unione Europea, proprio quelli che, in Italia, contano le più numerose comunità di residenti e pertanto è difficile non individuare una volontà di limitare la crescita di alcune specifiche comunità straniere già molto numerose nel nostro Paese
Secondo Valeriano Scassa che scrive su “Il grande Colibrì”, analizzando questi dati, la situazione è assai curiosa: “se su alcuni “Paesi Sicuri”, come l’Albania, c’è una generale convergenza, in altri casi viene il sospetto che la lista venga compilata con una discrezionalità opinabile. L’unica lista a includere il Pakistan, per esempio è quella della Grecia, primo punto di arrivo europeo per i pakistani che percorrono la rotta balcanica, e l’unica lista che ha aggiunto Nigeria e Costa D’Avorio risulta quella italiana”.
Contrariamente a quanto sta avvenendo, la direttiva europea 2013/32/UE stabilisce criteri più vasti per la designazione dei Paesi di origine sicuri, considerando anche la presenza di persecuzioni per orientamento sessuale e per identità ed espressione di genere. La responsabilità della compilazione italiana non può essere imputata pertanto alle direttive europee, che peraltro non hanno nemmeno previsto la creazione di centri di detenzione specifici per richiedenti asilo provenienti da “Paesi sicuri” in cui l’omosessualità è un crimine e questa situazione potrebbe aprire le porte ad una segnalazione presso la Commissione Europea. 
Di fatto a Pozzallo è già sorto il primo centro per richiedenti asilo sbarcati in Italia da Stati che rientrano nella lista, la buona scusa per legittimare una procedura accelerata assai poco ben promettente. Sono ottantaquattro i posti riservati a questi migranti che sbarcano in Sicilia e che mantengono così pochissime probabilità di ottenere un permesso di soggiorno. In situazione di detenzione amministrativa, come nel caso del nuovo centro di Pozzallo, infatti, le probabilità di ottenere una risposta positiva alla richiesta di asilo sono quasi pari a zero e per gay, lesbiche e trans la situazione è ancora più pregiudizievole. Le persone che fuggono da contesti pesantemente omobitransfobici hanno già subito traumi che richiederebbero invece un’attenzione specifica e hanno maggiore difficoltà ad esporre il proprio vissuto in modo convincente. Vivendo in detenzione con altre persone di varie provenienze hanno più paura di esporsi e potrebbero esserci anche severi rischi per la loro incolumità fisica.
Come decidere se gay, lesbiche e trans hanno diritto all’asilo? Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, se le persone nel loro Paese sono costrette a nascondere la loro identità o la loro espressione di genere o il loro orientamento sessuale, cioè se esiste un presupposto fondato di poter subire persecuzioni, la domanda è fondata e lo status può e deve essere accordato non solo in presenza di persecuzioni che provengono dallo Stato, ma anche da coloro che vengono definiti “attori non statali” ovvero dalla famiglia, da bande criminali o anche da una comunità intesa in senso ampio.